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Convegno CBI 2013, Roma 21-22 novembre

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Il 21-22 novembre 2013 si terrà a Roma presso Palazzo Altieri (Piazza del Gesù, 49) il convegno “CBI 2013 – Le innovazioni nel mercato transazionale: CBILL, fattura elettronica e big data. Il convegno CBI è ormai divenuto un punto di riferimento per la comunità nazionale ed internazionale dei servizi di pagamento, dei servizi alla P.A., dellafattura elettronica e dell’e-billing. Saranno presenti autorevoli relatori italiani e internazionali, con l’obiettivo di creare momenti di confronto tra i maggiori player di mercato.

Informazioni ed iscrizioni sul sito www.cbi-org.eu e www.abieventi.it

Ipoteca dell’Onu sulla Siria

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Una volta raggiunta una soluzione di compromesso sulla questione del riferimento al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza ha adottato all’unanimità la risoluzione 2118 (2013) sull’eliminazione delle armi chimiche in Siria. Il contenuto della risoluzione del 27 settembre riflette l’accordo concluso il 14 settembre tra Stati Uniti e Russia. Siamo a un punto di svolta nella reazione internazionale davanti all’uso di gas chimici utilizzati anche contro i civili in un quartiere di Damasco lo scorso 21 agosto.

Capitolo VII
Il dibattito sull’inserimento dell’espressione “Capitolo VII” nel testo della risoluzione si ricollega al tema della liceità di un possibile uso della forza nei confronti della Siria, preannunciato dal presidente statunitense Barack Obama. La Russia ha cercato di evitare che l’approvazione della decisione creasse qualsiasi automatismo nell’autorizzare un futuro intervento armato.

Pur riconoscendo che l’uso di armi chimiche costituisce una minaccia alla pace, la risoluzione 2118 non è stata adottata sulla base al Capitolo VII. Al di fuori di questo quadro, il Consiglio può comunque adottare atti, come questa risoluzione, di carattere vincolante.

Nel club dei disarmati 
Gli aspetti innovativi della risoluzione riguardano poi il coordinamento con la Convenzione sulle armi chimiche del 1993, Cwc, e il sistema di verifiche e controlli imperniato sull’Organizzazione per il disarmo chimico, Opcw. Il presupposto essenziale della risoluzione è infatti il deposito dello strumento di adesione alla Cwc da parte della Siria che ha dichiarato di voler applicare in via provvisoria le sue disposizioni prima di divenirne formalmente Stato parte il prossimo 14 ottobre.

La risoluzione 2118 impone alla Siria di rispettare quanto previsto dalla decisione di poche ore prima del Consiglio esecutivo, Ce, dell’Opcw, adottata sulla base degli articoli IV (8) e V (10) della Cwc, che prevede una procedura straordinaria di distruzione immediata dell’arsenale chimico siriano, sotto controllo internazionale, da completare entro la prima metà del 2014.

Controlli a tappeto
La decisione del Ce, organo che promuove l’attuazione effettiva nonché l’osservanza della Cwc, disegna un sistema di verifiche e di controlli assai stringenti. Non soltanto infatti l’Opcw effettuerà ispezioni in loco presso tutti i luoghi in cui sono immagazzinate armi chimiche e gli impianti di produzione, secondo quanto sarà dichiarato dalle autorità siriane, ma potranno pure ispezionare ogni altro luogo che un altro Stato parte abbia individuato come coinvolto nel programma chimico siriano.

Non si può non rilevare che tale tipo di ispezioni si richiama chiaramente al modello delle ispezioni su sfida, previsto all’art. IX della Cwc. In caso di mancata cooperazione da parte della Siria, il Ce ne porterebbe a conoscenza il Consiglio di sicurezza, ai sensi dell’art. VIII della Cwc. Un accordo tra Opcw e Nazioni Unite, concluso nel 2000, disciplina le relazioni tra le due organizzazioni.

Smaltimento 
La Siria dovrà permettere l’ingresso degli ispettori dell’Opcw e del personale delle Nazioni Unite, assicurare il loro accesso a tutti siti e provvedere alla loro sicurezza. La risoluzione richiama in questo senso la Convenzione del 1946 sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite.

Il Consiglio incoraggia gli Stati a fornire all’Opcw il necessario sostegno tecnico e logistico per raggiungere l’obiettivo della distruzione delle armi chimiche in Siria. Ciò infatti dovrà avvenire in un contesto difficile, quale quello della guerra civile in corso.

L’accordo tra Russia e Stati Uniti esprimeva una preferenza per la distruzione dell’arsenale fuori dalla Siria. Cruciale è allora la decisione del Consiglio di autorizzare gli Stati membri, in deroga ai divieti della Cwc, ad acquisire, trasportare, trasferire, per poi distruggere le armi chimiche del programma siriano. Questo sembra un punto delicato anche per le sfide che la sua attuazione presenta nel complesso contesto attuale.

Secondo la federazione russa, le armi chimiche sarebbero state utilizzate anche dai gruppi armati in lotta contro il regime. Non soltanto il Consiglio sottolinea il divieto per tutte le parti del conflitto in Siria di usare, sviluppare, produrre armi chimiche, ma riafferma quanto stabilito della risoluzione 1540 (2004).

Pur affermando la necessità che i responsabili dell’uso di armi chimiche in Siria ne rispondano, la risoluzione 2118 non contiene alcun riferimento alla Corte penale internazionale.

Iran, è l’ora del compromesso

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Ancora pochi giorni fa era inimmaginabile una grande intesa per la stabilizzazione complessiva del Medio Oriente in grado di sciogliere l’intreccio dei conflitti della regione.

Isolamento addio
Quali potrebbero essere le componenti di questo “grand bargain”?

Nodi centrali sono il ruolo di Teheran nella regione e quindi la questione nucleare e gli equilibri tra Iran, Turchia e monarchie del Golfo; la sicurezza di Israele; la stabilizzazione sostenibile dei paesi traversati dalle convulsioni del 2011-2012; la fine dei conflitti di diversa intensità in Siria, Iraq e Libano alimentati dalle rivalità tra attori esterni, dai jihadisti e dagli strumentalizzati conflitti religiosi.

Il presidente iraniano Hassan Rouhani persegue l’uscita dall’isolamento e dalle sue gravi conseguenze economiche. Ma l’obiettivo strategico dell’Iran resta immutato: assicurare la sua influenza fino al Mediterraneo e poter quindi contare su positivi rapporti con Iraq, Siria e Libano.

La Turchia potrebbe essere la più interessata a un compromesso, con le dovute garanzie e malgrado le radicate diffidenze verso il regime clericale sciita iraniano. Dovrebbero spingerla in questa direzione il capitale politico ed economico investito in questi anni nella regione, le esigenze di mantenimento della crescita economica e le aspettative di conseguenti effetti positivi anche sulla stabilità interna, scossa dalle proteste degli ultimi mesi, e sulla questione curda nei suoi risvolti interni e regionali.

Conservatori
Più critica è la lettura degli interessi dell’Arabia Saudita e delle altre monarchie del Golfo nelle cui strategie sembrano prevalere essenzialmente due aspetti. Da un lato il loro ruolo di esportatori di idrocarburi e grandi attori della finanza internazionale e dall’altro la conservazione degli assetti di potere interni.

Una prospettiva di pacificazione e quindi di totale agibilità di tutte le risorse energetiche della regione significherebbe accettare che l’Iraq diventi, come gli consentirebbero le sue riserve, grande esportatore di idrocarburi e quindi accumulatore e gestore di risorse finanziarie di peso comparabile a quello dell’Arabia Saudita.

Significherebbe anche accettare un ruolo analogo dell’Iran, amplificato dalle sue dimensioni, dallo spessore della sua statualità e dalla sua capacità di utilizzare lo strumento religioso. È una prospettiva che Riad ed in misura diversa altre capitali del Golfo hanno costantemente contrastato anche per le possibili conseguenze sui loro assetti interni.

Attori esterni
Fondamentale sarà poi il concorso delle potenze fuori dalla regione.

Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina e India hanno prevalenti interessi alla stabilizzazione e alla soluzione dei conflitti nell’area. La Russia, che dal complesso esercizio ricaverebbe un riaffermato ruolo di grande potenza con capacità e influenze determinanti nella regione, sarà tanto più interessata a portare positivamente a termine il processo assieme al resto della comunità internazionale quanto più la sua economia ora prevalentemente basata sulla esportazione di idrocarburi evolverà verso una realtà industriale moderna con interessi sempre maggiori in un sistema economico mondiale integrato.

Nucleo centrale di questo processo è l’accordo sulle capacità nucleari iraniane, basato sul riconoscimento del diritto al loro sviluppo per usi pacifici contenuto nel trattato di non proliferazione e sulla garanzia che non vi sia una sua possibile conversione militare, con una accettazione da parte dell’Iran di verifiche, ingerenze e misure tecniche tali da fugare ogni dubbio.

Affinché ciò si realizzi potrà però essere necessario che ai condizionamenti posti all’Iran si accompagni un rilancio dell’attuazione integrale del trattato di non proliferazione, inclusa la disposizione dell’art. 6 sull’impegno per il disarmo nucleare. Questa disposizione fu tra le condizioni poste dall’Italia, e da altri, al trattato del quale il nostro paese è sempre stata tra i maggiori sostenitori.

Convitato di pietra sulla Cina

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Il 2013 ha segnato l’avvio delle negoziazioni per l’ambizioso piano di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, Ttip. Se portato a compimento senza intoppi e ridimensionamenti, questo accordo potrebbe mutare radicalmente il panorama internazionale, stabilendo regole comuni per scambi che ammontano al 30% del commercio mondiale di beni, il 20% degli investimenti diretti esteri, nonché un volume di scambi che supera i 700 miliardi di euro all’anno.

Possibile panacea 
Un accordo la cui importanza è confermata dalle analisi del suo impatto. Queste stimano un incremento dei posti di lavoro pari a circa un milione negli Stati Uniti, 400 mila nel Regno Unito e 141 mila in Italia; nonché incrementi del Pil pro capite del 13,4% negli Stati Uniti e di quasi il 5% nel nostro paese.

Nessuna riforma attualmente sul tavolo del governo italiano e delle istituzioni europee (con la sola eccezione del completamento del mercato interno digitale) promette livelli di crescita tanto significativi. Il Ttip, insieme all’alleanza Trans-pacifica in corso di negoziazione tra Stati Uniti e molti paesi asiatici, viene presentato su entrambe le sponde dell’Atlantico come un passo verso il superamento dello stallo nel quale attualmente versa il Doha round.

Sembra un passo decisivo verso un nuovo e più soddisfacente assetto regolatorio del commercio internazionale. Non a caso il Commissario europeo al commercio, Karel de Gucht, ha più volte presentato il Ttip come il primo passo verso il rafforzamento del Wto.

Sembrerebbe di trovarsi di fronte a un’occasione senza precedenti, quasi a una panacea in grado di guarire molti dei mali dei paesi occidentali. Eppure vi sono diversi ordini di motivi per dubitare che le “magnifiche sorti e progressive” attribuite al Ttip possano tradursi in effetti concreti.

Il contenuto dell’eventuale accordo potrebbe infatti essere largamente ridimensionato durante le negoziazioni. Non si tratta di eliminare prevalentemente barriere tariffarie che pure esistono, ma sono di entità esigua. La sfida è quella di armonizzare gli standard tecnici e gli approcci alla regolamentazione in settori strategici come i prodotti chimici o farmaceutici e gli organismi geneticamente modificati.

Per non parlare di annose questioni trasversali come la regolamentazione dei mercati finanziari e delle industrie a rete, la protezione dei dati personali – per di più, all’indomani dello scandalo Datagate – la protezione della proprietà intellettuale – in particolare dei brevetti – e ancor di più, degli appalti pubblici e dei sussidi alle imprese locali.

Se si consultano i documenti preliminari predisposti dalla Commissione europea, si scopre che anche sui prodotti chimici la controversa e contorta regolazione europea appare aver innescato un’irreversibile deriva dei due continenti.

Se si aggiungono le remore francesi nel settore dell’audiovisivo e la recrudescenza del protezionismo di entrambi i blocchi rispetto alla produzione di materiali pesanti (acciaio, alluminio) e di prodotti high-tech, nonché le probabili resistenze di partner commerciali di assoluto rilievo in alcuni settori (ad esempio, la Turchia), resta poco su cui scommettere a occhi chiusi.

La complessità e varietà dei temi da discutere, l’attuale impegno statunitense nelle negoziazioni per il partenariato trans-pacifico (che non si concluderanno, come inizialmente annunciato, entro la fine del 2013), l’incertezza politica che circonda i paesi dell’Unione europea e i fastidi generati dallo scandalo Prism proiettano ombre minacciose sui tempi di negoziazione tra i due giganti.

Senza considerare che la Commissione europea è solita perdere abbrivio e legittimazione ad agire quando il mandato è in scadenza. Essa dovrà confrontarsi con un rinnovato (e forse più ostile) Parlamento europeo a metà 2014.

L’ottimismo mostrato dal presidente statunitense Barack Obama e dal capo della delegazione Usa Mike Froman sembra ancor meno fondato se si pensa che lo stesso Obama non ha mai ottenuto, per gli accordi di libero commercio, l’autorizzazione ad agire in rappresentanza degli Stati Uniti. Qualsiasi decisione del presidente sarà carta straccia se non verrà avallata e ratificata da un quanto mai ostile Congresso a maggioranza repubblicana.

Gigante cinese escluso 
A tali motivazioni va aggiunta una nota forse ancor più scettica. Non è sfuggito ai commentatori più attenti che il Ttip, così come l’alleanza Trans-pacifica, non coinvolge la Cina, gigante emergente che rosicchia quote di commercio internazionale a entrambe le sponde dell’Atlantico e permea i principali mercati mondiali con prodotti e semilavorati di ogni genere.

Integrare maggiormente le due sponde dell’Atlantico, fissare standard qualitativi inarrivabili per le economie emergenti e conquistare trattamenti privilegiati in paesi importanti come Australia, Giappone o Corea del Sud significherebbe, per gli Stati Uniti, garantirsi una nuova centralità nello scacchiere del commercio internazionale.

La politica degli scacchi di Ankara

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Dalle ceneri delle proteste di piazza Taksim, con il pacchetto di “riforme di democratizzazione” presentato il 30 settembre, il governo gioca a sorpresa la pedina meno visibile, quella al fondo dello scacchiere. Con una sola mossa cerca di ricalibrare gli equilibri dell’intero gioco.

Con il suo savoir-faire mediatico, il premier aveva annunciato da giorni la presentazione di un pacchetto che avrebbe dovuto – in un sol colpo – superare l’impasse turco-curda, riformare il sistema elettorale e rinvigorire le aspirazioni democratiche del paese.

Di fronte a tali aspettative l’annuncio riformista non poteva che essere deludente. Nel commentare il pacchetto l’opposizione ha usato il noto proverbio turco: “dalla grande montagna è uscito un topolino”.

Un’analisi più attenta, tuttavia, rivela come il “pacchetto democratico” sia più coraggioso del previsto, aprendo – come una matrioska politica – tante finestre su temi più caldi del dibattito politico turco.

Riforma elettorale e istruzione
Il vero successo riguarda la riforma elettorale. A qualche mese dal test politico delle municipali, previste per la primavera 2014, il governo avvia una profonda revisione del sistema elettorale turco che beneficia, in primis, i partiti minori.

Sarà finalmente modificato lo sbarramento del 10% che ha storicamente escluso dalle aule parlamentari le frange estreme del panorama politico turco: i deputati curdi del partito della Pace e della Democrazia, Bdp, da un lato e gli ultra-nazionalisti del Mhp dall’altro.

Ben accolta l’abolizione del divieto kemalista dell’utilizzo delle “lettere curde”:“W”, “Q” e “X”. Tuttavia, a far discutere, è l’insegnamento in lingua curda. La possibilità viene accordata, ma solo agli istituti privati. Se si considera che le province meridionali dove la minoranza curda risiede sono tra le più povere del paese, è facile capire perché questa viene percepita come una misura insoddisfacente.

Le novità introdotte rivelano un’apertura importante di Ankara verso le sue “minoranze ignorate.” Anche i greci-ortodossi e gli alevi, i grandi assenti della riforma, sembrano in qualche modo godere di riflesso il clima di apertura in attesa di possibili futuri avanzamenti.

Il pacchetto non basterà, tuttavia, a ricucire le sorti del processo di pace turco-curdo, bruscamente interrotto il 9 settembre. Per i deputati del Bdp che per mesi hanno sollecitato il governo le concessioni sono modeste e tardive: “le condizioni di Ocalan non sono migliorate, la soglia elettorale non è stata ancora abolita, i nostri compagni – il riferimento è alle decine di giornalisti in carcere – non sono stati liberati – commenta la parlamentare Danış Beştaş – non è abbastanza”.

Laici perdenti
A piccoli passi il governo lancia comunque un forte segnale: Erdoğan ha ripreso in mano il gioco, ed è pronto a rilanciare.

L’unico vero perdente è la torre dell’establishment laico, ferito dall’ennesimo colpo di coda islamico-conservatore. Dal 30 settembre anche il personale dei pubblici uffici potrà infatti indossare il velo. Siamo davanti alla morte simbolica dell’ideale di neutralità dello stato kemalista.

Anche l’Unione Europea ha accolto con favore le riforme, ribadendo che ne terrà contro nel Progress Report del 2014. Unica nota grave, commenta, è l’assenza di riferimenti al codice penale e alla legge contro il terrorismo grazie ai quali decine di giornalisti sono tutt’ora tenuti in carcere.

Ma non potrebbe essere proprio l’Europa a influenzare la pendenza dello scacchiere, influenzando le linee su cui si muovono gli attori politici turchi? Ankara si prepara a un inverno caldo. Per ora è prematuro prevedere quali saranno le prossime mosse dei suoi invisibili giocatori.

“Premio Italia diritti umani 2013”

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Dedicata alla memoria dell’ ex Vice-presidente della Free Lance International Press Antonio Russo. Aula Magna della facoltà valdese di teologia
Via Pietro Cossa 40 (piazza Cavour) ROMA

ROMA 15 Ottobre 2013

Il Premio Italia Diritti Umani nasce dall’esigenza da parte delle associazioni coinvolte di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo. I Mass Media spesso non prestano la dovuta attenzione al tema dei diritti umani, se non in maniera superficiale. È giunto quindi il momento, non solo di dare un giusto riconoscimento a chi lotta per la difesa dei più deboli, ma anche di parlare su come possano essere tutelati meglio questi diritti che, anche in paesi come l’Italia oltre che all’estero, sono sistematicamente violati, soprattutto nei confronti dei più deboli.
In collaborazione con – Amnesty International – sezione italiana
PROGRAMMA
Moderatrice e presentatrice del premio: Neria De Giovanni, giornalista, Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari.
Interventi
16,00 – “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza pace”, 50 anni dopo la Pacem in terris Luigi De Salvia – Segretario generale Religions for peace/sezione italiana
16,15 – “Diritti civili e libertà mediatica” Sergio Di Cori Modigliani – giornalista – scrittore – direttore di “ libero pensiero:la casa degli italiani esuli in patria”
16,30 – “Digital Media nelle zone di guerra” Antimo della Valle: giornalista, saggista, direttore di Editorpress
“La ricerca della verità nel giornalismo di Antonio Russo” 16,45 – Mariano Giustino: giornalista – direttore della rivista “Diritto e Libertà”
17,00 – “Raccontare il mondo dei senza voce” Riccardo Noury – Portavoce di Amnesty International sezione Italia
17,15 – “I diritti umani fra passato e futuro” Roberto Fantini – formatore EDU Amnesty International, responsabile per i diritti umani della Flip
17,30 – “Informazione e diritti umani in Italia” Virgilio Violo – giornalista – Presidente della Free Lance International Press
17,45 -“Antonio Russo: un abruzzese raccontato da un abruzzese” Andrea D’Emilio – neo-laureato in filosofia.
18,00 – MAI DIETRO UNA SCRIVANIA – Orazione civile per Antonio Russo di e con Ferdinando Maddaloni
Partito nel 2008, il progetto “Arte, informazione e disinformazione ad arte” prevedeva un tema unico, l’informazione e tre argomenti diversificati per paesi (Russia, Stati Uniti e Italia).
Dopo la Russia di Anna Politkovskaja, dopo gli Stati Uniti e l’11 settembre 2001, il teatro civile di Ferdinando Maddaloni approda in Italia con una orazione civile dedicata al giornalista freelance Antonio Russo.
18.15 – RINFRESCO gentilmente preparato dalla collega Irina Raskina e offerto dalle ditte “I genuini sapori di Puglia di Morea Domenico” di Mola di Bari e “Castello Ducale” di Amorosi (Bn) PREMIAZIONE
18,30 – Consegnano i premi e leggono le motivazioni gli attori: Giuseppe Lorin, Chiara Pavoni, Rita Gianini
Donate opere degli artisti: Barbara Berardicurti, Silvio Parrello , Luca Baronchelli
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FREE LANCE INTERNATIONAL PRESS via Federico Cesi 44 – 00193 Roma, Italy – t. /fax 0039 06-96039188 – 06-32111689 e mail: info@flipnews.org web: www.flipnews.org
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Attuazione nuove leggi NOTAI

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Pubblicato in Gazzetta il decreto correttivo con le tabelle: minimi solo orientativi, nessun aumento dei compensi. Adeguamenti per assistenti sociali e attuari

Commissione tributaria di LUNEDI’ 23 SETTEMBRE 2013

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Sul contribuente non devono ricadere in ogni caso gli esborsi sostenuti per far valere un suo diritto

CASSAZIONE CIVILE MARTEDI’ 24 SETTEMBRE 2013

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Conta l’esito finale della lite: per la liquidazione non si può utilizzare un criterio frazionato, è a discrezione del giudice decidere per la compensazione parziale

sentenza del 25 settembre 2013 per le cure

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Somministrazione ordinata in via cautelare all’ospedale: sospetta la legittimità del dl che subordina la sperimentazione a criteri avulsi dalle condizioni di salute