30 Aprile 2024, martedì
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Google responsabile dei dati personali, sì alla rimozione dei link

I motori di ricerca devono rimuovere i link ai dati personali non più pertinenti dalle pagine dei risultati. Anche la semplice indicizzazione di articoli comparsi su altri media costituisce, infatti, un «trattamento» e come tale è soggetto al rispetto della privacy. Lo ha stabilito laCorte Ue, con la sentenza 13 maggio 2014, riconoscendo le ragioni di un cittadino spagnolo contro Google che ha giudicato «deludente» la proncuncia.

In particolare, chiariscono i giudici, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata sul nome di una persona, nell’elenco di risultati compare un link verso una pagina web che contiene – anche legittimamente – informazioni personali, in presenza di determinate condizioni, scatta il diritto di chiedere al gestore, e poi alle autorità competenti, la soppressione del link dall’elenco di risultati. 


È questa l’interpretazione che va data della Direttiva 95/46/CE che protegge le libertà e i diritti fondamentali delle persone fisiche (segnatamente il diritto alla vita privata) in occasione del trattamento dei dati.

Il caso
 
Nel 2010 un cittadino spagnolo, si è rivolto all’Agenzia di protezione dei dati (AEPD), proponendo un reclamo contro un quotidiano locale, nonché contro Google Spain e Google Inc., denunciando che nell’elenco di risultati associati al proprio nome, il motore di ricerca mostrava dei link a due pagine risalenti a 12 anni prima che annunciavano una vendita all’asta di immobili per un pignoramento dovuto a crediti previdenziali non pagati. Il ricorrente lamentava che il pignoramento era stato interamente definito da svariati anni e che la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza.

L’AEPD ha respinto il reclamo diretto contro il quotidiano, ritenendo che l’editore avesse legittimamente pubblicato le informazioni, ma lo ha accolto nei confronti di Google chiedendo di rimuovere i dati dai loro indici.

Il trattamento
 
Chiamata a giudicare a seguito del ricorso dell’azienda americana, la Corte Ue osserva in primis che «l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come “trattamento di dati personali”, e che il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il “responsabile” del trattamento».

Lo stabilimento 

Ed anche se la “casa madre” è straniera, la direttiva si applica comunque rientrando l’attività nello «stabilimento» nel territorio di uno Stato membro «qualora il gestore apra una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari e l’attività si diriga agli abitanti dello Stato membro». 

Rimuovibile anche l’informazione è lecita
 
E dunque per rispettare la Direttiva Ue il gestore «è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative alla persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita».

Sì all'”oblio”
 
Interrogato sul diritto all’«oblio», la Corte osserva infatti, che anche un trattamento inizialmente lecito può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva nel caso in cui, tali dati risultino inadeguati, non pertinenti o non più pertinenti ovvero eccessivi in rapporto alle finalità per le quali sono stati trattati e al tempo trascorso. La Corte aggiunge che, nel valutare una domanda di questo tipo, occorre verificare in particolare se l’interessato abbia o meno diritto alla rimozione. In questo caso, i link devono essere cancellati, a meno che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto dalla persona nella vita pubblica, giustificanti un interesse preminente ad avere accesso alle informazioni.

Domanda diretta
 
La Corte precisa che la persona interessata può rivolgere domande siffatte direttamente al gestore del motore di ricerca, che deve in tal caso procedere al debito esame della loro fondatezza. E qualora il responsabile del trattamento non dia seguito a tali domande, la persona può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino a detto responsabile l’adozione di misure precise conseguenti.

Google, decisione deludente 
«Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General Ue e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni»: è il commento di un portavoce di Google.

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