17 Novembre 2025, lunedì
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Netanyahu rivendica l’offensiva a Gaza: “Dovevamo reagire, Israele ha fatto ciò che andava fatto”

Davanti alla Knesset, il premier israeliano difende l’azione militare seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ma le sue parole riaccendono le polemiche internazionali sul bilancio umanitario del conflitto.

Benjamin Netanyahu torna a difendere senza esitazioni la linea dura adottata da Israele dopo il 7 ottobre. Di fronte alla Knesset, il premier ha ribadito la legittimità dell’offensiva contro Hamas, descrivendo la risposta israeliana come una necessità storica e morale.
“In risposta al barbaro attacco del 7 ottobre, Israele ha fatto ciò che doveva”, ha dichiarato. “Con indomito coraggio, ci siamo organizzati per difendere la nostra gente, sconfiggere il nemico e liberare gli ostaggi. I nostri soldati hanno combattuto come leoni”.

Un discorso improntato alla determinazione e all’orgoglio nazionale, quello di Netanyahu, che però arriva in un contesto di crescente isolamento diplomatico e di forti pressioni internazionali per una tregua duratura. La guerra a Gaza, scatenata dopo il massacro perpetrato da Hamas in territorio israeliano, ha provocato un numero altissimo di vittime civili e un’emergenza umanitaria senza precedenti nella Striscia.

Le parole del premier, dunque, risuonano come una giustificazione piena di una strategia militare che molti osservatori internazionali e organizzazioni umanitarie continuano a definire sproporzionata. Secondo i dati diffusi da fonti palestinesi e confermati da diverse agenzie delle Nazioni Unite, la maggior parte delle vittime del conflitto sono civili, tra cui migliaia di donne e bambini.

Netanyahu, però, resta fermo sulla linea della sicurezza nazionale come priorità assoluta. “Non possiamo permettere che il terrore si ripeta – ha sottolineato –. Israele non si scuserà mai per aver difeso la propria esistenza”. Un messaggio diretto anche alla comunità internazionale, accusata implicitamente di giudicare con “due pesi e due misure” le azioni israeliane rispetto ad altri conflitti.

Dietro la retorica della fermezza si intravede anche un calcolo politico. Il premier, alle prese con un’opinione pubblica interna sempre più divisa e con le tensioni all’interno della sua stessa coalizione, cerca di riaffermare la propria leadership in un momento di profonda incertezza. Il tema della sicurezza resta l’unico terreno in grado di unire il fronte politico israeliano, almeno parzialmente, e di ridare forza a un governo messo in difficoltà dalle proteste, dalle inchieste e dalla stanchezza di un conflitto che sembra non avere fine.

Intanto, sullo sfondo, resta drammatica la situazione nella Striscia di Gaza. La distruzione di interi quartieri, la mancanza di cibo, acqua e cure mediche, le continue incursioni e i bombardamenti hanno portato a una crisi umanitaria che le organizzazioni internazionali definiscono “catastrofica”.

Mentre Netanyahu rivendica la necessità dell’azione militare, cresce la distanza tra la narrativa ufficiale israeliana e la percezione globale di un conflitto che, a un anno dall’attacco di Hamas, continua a lasciare sul terreno un prezzo altissimo in vite umane.

La frase “Israele ha fatto ciò che doveva” sintetizza la posizione di un leader convinto della giustezza della propria scelta, ma riapre anche una ferita profonda: quella del dibattito morale e politico sul limite tra autodifesa e devastazione, tra sicurezza e responsabilità verso i civili. Un confine che, nel dramma di Gaza, continua a farsi sempre più sottile.

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