30 Aprile 2024, martedì
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Doppio cognome, stop riforma alla Camera. I deputati maschi fanno melina

Doppio cognome, stop riforma alla Camera. I deputati maschi fanno melina. Dalla Camera giunge una brusca frenata all’approvazione della proposta di legge che supera l’obbligo di trasmettere ai figli il cognome del padre e consente la libertà di scelta: in pratica a un figlio potrà andare o il cognome del padre, o quello della madre, o tutti e due. Una vera e propria rivoluzione culturale per le famiglie italiane.
La proposta di legge era già passata il 10 luglio in commissione Giustizia ed è ora all’esame dell’aula. Ma dopo l’ok ai primi tre articoli emergono in Aula malumori trasversali che portano a interrompere le votazioni. Si ricorre così al Comitato dei Nove dove la discussione si accende, con divisioni che emergono all’interno di FI (ma per esempio Alessandra Mussolini indicava il suo come un caso emblematico) e Pd.
E alla fine si opta per rimandare i lavori dell’Aula, tra i malumori di chi voleva un sì in tempi brevi. Due, soprattutto, i nodi che hanno riacceso il dibattito. Il primo riguarda i figli ai quali viene attribuito il cognome di entrambi i genitori. Secondo la proposta, nel momento in cui diventano a loro volta genitori devono scegliere solo un cognome da trasmettere alla propria discendenza.
Secondo buona parte dei detrattori della proposta di legge, dovrebbero essere invece i nonni a stabilire, da subito, quale dei due cognomi dovrà andare ai loro nipotini. L’altro punto dirimente riguarda il ricorso all’ordine alfabetico dei due cognomi nel caso in cui i genitori non trovino un accordo. Criterio che trova diversi critici a partire da Ignazio La Russa, il più lesto ad augurarsi un “rinvio sine die”. del testo.
Ma l’ex ministro non è l’unico a contestare una proposta di legge che oggi ha visto scendere in trincea i centristi e diversi esponenti azzurri – su tutti Stefania Prestigiacomo. Percepito il clima, anche una parte di deputati Pd ha scelto di mettere i bastoni tra le ruote. Da qui la scelta di rinviare i lavori dell’Aula.
“Abbiamo registrato un po’ di mal di pancia e non volevamo forzare, abbiamo scelto di lasciare un po’ di tempo per la discussione”, spiega la parlamentare Dem Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia, escludendo comunque il rinvio in commissione e assicurando che, da parte di tutti, c’è la “volontà di chiudere entro la pausa estiva”.
Ma lo stop riaccende lo scontro. “E’ arrivato per i veti culturali opposti da alcuni deputati, maschi, del nostro Parlamento e il Pd non ha saputo, a mio parere, tenere la barra dritta”, protesta la democratica Michela Marzano, che dice di sentirsi “tradita” dal suo partito.
“Il Pd si inchina ai voleri del centrodestra”, incalza Sel, incassando a ruota la replica del capogruppo Pd in commissione Giustizia, Walter Verini: “Tutto il contrario, abbiamo impedito l’affossamento della legge”. Mentre l’Ncd, da parte sua, rivendica la paternità della frenata a un testo dove emerge “un accanimento ideologico”. Di certo, spiegano in Transatlantico, l’impasse ha riacceso quel “blocco culturale e patriarcale” contro la proposta di legge che, nei giorni scorsi appariva sopito.

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