5 Maggio 2024, domenica
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Niger, Avv. Francesco Petrillo: ”Le teorie complottiste non mi hanno mai convinto del tutto”

A cura di Ionela Polinciuc

Purtroppo, di una possibile terza guerra mondiale se ne parla con grande insistenza, ormai da troppo tempo. Forse, più seriamente da quando Putin ha dato il via alla sua “operazione speciale” invadendo il territorio ucraino e mandando in frantumi il decennale equilibrio geopolitico tra l’Occidente e la fu Unione Sovietica. Il tutto, ovviamente senza pietà. Ora come ora, quando si parla di terza guerra mondiale tutti gli occhi sono puntati sull’Africa e, in particolare, verso il Niger. Al riguardo, abbiamo intervistato il professore e avvocato cassazionista Francesco Petrillo, titolare della cattedra di filosofia del diritto presso l’Università del Molise.

La destabilizzazione del Niger e le sue implicazioni internazionali comportano rischi di primo piano per l’Italia?
Intanto la ringrazio perché ritiene interessante una mia risposta sulla vicenda. Non sono certo un esperto delle questioni attinenti al continente africano. Ma, è chiaro, che se si accontenta di un’opinione, sono portato a spostare il problema sulla complessiva realtà di quell’ampia zona del mondo denominata Sahel. E cioè una zona geografica o, meglio, come definita oggi eco-climatica, dal clima semi-arido, che va dal deserto del Sahara alla Savana sudaniana e che attraversa l’Africa dall’Oceano Atlantico fino al Mar Rosso, contenendo tante nazioni africane. Ora, il problema del Niger non credo possa essere molto in grado di prescindere, dal punto di vista geopolitico, dalle questioni riguardanti milioni di persone che ogni giorno lottano per la sopravvivenza, quella più spicciola, più esiziale, quella legata a una goccia d’acqua. Si pensi poi anche a quanto questa situazione sia stata aggravata dalle Pandemie recenti e viene facile tirare le somme. Più che rischi per l’Italia il colpo di stato in
Niger va, a mio modestissimo parere, considerato dal punto di vista del problema
territoriale-regionale in cui s’inquadra.
Particolarmente allarmante è il fatto che ECOWAS si è riservata la possibilità di “utilizzare la forza” militare nel caso in cui le richieste non trovassero riscontro. Secondo Lei, c’è qualche piano diabolico? Si tratta di una guerra interna oppure è collegata in qualche modo con la guerra in Ucraina?
Le teorie complottiste non mi hanno mai convinto del tutto. Di solito, non nascono da un pensiero strategico-originario. Piuttosto, in base alle contingenze e alle congiunture, vengono poste a spiegazione, anche eclatante, di fatti complessi, meritevoli di ben più ampi approfondimenti. Forse ECOWAS e la Nigeria vogliono difendere, anche a costo dell’utilizzo della forza, la debole democrazia del Niger, ma, dal punto di vista geopolitico, quella zona del mondo comprende un territorio in cui i colpi di stato si susseguono rapidamente e in cui i regimi militari si alternano
frequentemente con quelli democratici. Non mi pare che la difesa della democrazia sia il problema reale sul territorio, casomai, strumentalmente, in altre parti del mondo. Proprio stamattina (16 agosto, ndr), leggevo che, ieri, 17 soldati del Niger sono stati uccisi in scontri con i Jihadisti vicino al confine con il Mali. Cosa possono avere a che fare questi scontri con le vicende internazionali?
Ciò che preme, al massimo, ad alcune potenze straniere potrebbe essere mantenere il territorio in stato d’instabilità politica per potersi garantire forniture economiche (uranio soprattutto), che in tempo di guerra è meglio siano stabili. Al di là di queste evenienze, con i miei limiti di conoscenza, non riesco proprio ad immaginare nessi strategici diretti ed efficaci tra guerre europee e colpi di Stato africani. Del resto, se si pensa che i militari, dopo il Golpe, hanno anche nominato un civile, nella persona di Ali Mahaman Lamine Zeine, come Primo Ministro, dopo avere, nell’immediatezza
del colpo di Stato, dato disponibilità alla tregua e alle trattative, si comprende bene che i problemi non sono prioritariamente internazionali: né di tipo militare, né di tipo politico, né di tipo religioso.
Non lo sono dal punto di vista della politica strategica, costruens. In limine, lo sono dal punto di vista destruens, come dicevo prima.
L’addestramento dell’esercito nigerino, il braccio armato di uno dei pochi governi democratici rimasti nella regione fino a pochi giorni fa e allineato con l’Occidente, è stato al centro della missione internazionale. Lo stesso esercito che, flagellato da divisioni interne, oggi si rivolta contro le istituzioni democratiche che avrebbe dovuto difendere. Perché?
La disponibilità immediata prima alla tregua e poi alla trattativa da parte dei golpisti e la successiva nomina di un civile come Primo Ministro, insisto, anche se sembrerò caparbio nel mio essere controcorrente, mi fanno escludere che si tratti di un piano internazionale, per esempio, anti-americano e/o filo-sovietico. Leggendo, tra le righe, la vicenda, ma probabilmente sbaglierò, mi sembra piuttosto – e su queste vicende politiche ho certamente maggiore competenza che sulla politica internazionale del Sahel – una faida interna al sistema di potere cosiddetto democratico. Il
Presidente eletto, destituito, Mohamedd Bazoum, in effetti, era una sorta di delfino del precedente Presidente Mahamadou Issoufou, a sua volta amico, se non leader, del Generale Abdourahamane Tchiani, capo del gruppo militare che ha realizzato il colpo di stato. La sensazione che tutto possa, essenzialmente, nella complessità caratterizzante sempre la semplicità, spiegarsi in una faida interna a un gruppo di potere democratico, è molto forte. Ciò mi sembra verosimile e non riduttivo.

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