a cura di Gemma Tisci
A pochi giorni dalla data del “Giorno della memoria” Emanuele Filiberto di Savoia chiede perdono alla comunità ebraica italiana e lo fa scrivendo una lettera accorata dove, anche a nome della famiglia dichiara di “Non riconoscersi nella scelta del suo bisnonno Re Vittorio Emanuele III di apporre la firma sotto il documento presentato dai fascisti per l’approvazione delle leggi razziali in Italia”.lo fa in un momento inopportuno al tramonto del venerdì che combacia con l’inizio dello Shabbat quando per gli ebrei vige la regola del riposo in cui è assolutamente vietato ogni tipo di attività lavorativa e tra queste anche confronti e polemiche.
Era l’anno 1938, ben 83 anni fa, quando dopo quella fatidica firma cominciarono le persecuzioni che da li a poco si trasformarono in deportazioni nei campi di concentramento dove trovarono la morte migliaia di ebrei italiani comprese donne e bambini. Oggi il rampollo del nobile casato chiede perdono e prende le distanze dalla storia.
Non si fa attendere la risposta dello storico e giornalista Giordano Bruno Guerri e dall’UCEI – unione comunità ebraiche italiane. Secca la risposta di Guerri che sottolinea che quella richiesta di perdono sarebbe dovuta giungere già da Vittorio Emanuele III ma non arrivò nessuna richiesta di perdono, come del resto non giunsero mai lettere o notizie di contrizione da parte del nonno Umberto II e tantomeno dal padre di Emanuele Filiberto.
Incalza lo storico e risponde che quel perdono, mai chiesto, probabilmente non sarebbe amia arrivato dalla comunità ebraica italiana. “Troppo dolore, troppi lutti e sevizie non possono essere perdonati con facilità” Dall’UCEI, che pur prendendo atto del gesto del giovane Savoia non gradiscono spettacolarizzazioni specie a cavallo del “Giorno della memoria” hanno risposto solo con due parole: “Perdono impossibile”