Washington – Nonostante le tensioni internazionali e la crescente retorica bellica, l’Iran non stava costruendo attivamente un’arma nucleare prima dell’attacco aereo lanciato da Israele lo scorso venerdì. Lo rivela un’inchiesta della Cnn, che cita quattro fonti a conoscenza diretta delle valutazioni dell’intelligence americana.
Un elemento che cambia la prospettiva sugli ultimi sviluppi nella crisi mediorientale, e che mette in discussione l’efficacia e la strategia dell’intervento israeliano contro le infrastrutture nucleari iraniane.
Un programma rallentato, ma non azzerato
Secondo le stesse fonti, i servizi statunitensi stimavano che Teheran fosse a circa tre anni dalla possibilità di produrre un’arma nucleare completa, pronta all’uso. Dopo i bombardamenti israeliani — che hanno colpito in particolare il complesso nucleare di Natanz — l’intelligence ritiene che il programma iraniano possa aver subito un ritardo di appena pochi mesi, un risultato giudicato limitato in relazione alla portata e al rischio politico dell’operazione.
Il sito di Fordo, il più protetto e fortificato tra quelli noti, non sarebbe stato danneggiato in modo significativo. La Cnn sottolinea che, secondo fonti della difesa, Israele non dispone di armi adatte a colpire efficacemente Fordo senza l’utilizzo di munizioni speciali e del supporto aereo degli Stati Uniti.
Pressioni strategiche e limiti operativi
L’attacco israeliano, motivato dalla necessità di impedire un’accelerazione del programma nucleare iraniano, sembra dunque aver raggiunto risultati più simbolici che strutturali. La possibilità di un’escalation militare — con ripercussioni su scala regionale e globale — resta elevata, ma l’intelligence americana appare scettica sulla concretezza di una “minaccia nucleare imminente”.
Dietro le quinte, crescono anche le tensioni tra Israele e Washington, con l’amministrazione Biden che, pur ribadendo il sostegno alla sicurezza israeliana, avrebbe espresso riserve sulle tempistiche e modalità dell’attacco, considerate potenzialmente destabilizzanti in un’area già sull’orlo del conflitto generalizzato.
Mentre il confronto militare si sposta anche sul piano informativo e strategico, la domanda resta aperta: si sta combattendo per prevenire una minaccia o per rispondere a una percezione politica del pericolo?
Le valutazioni dell’intelligence USA sembrano suggerire la seconda ipotesi, aprendo un nuovo capitolo nel delicato equilibrio tra sicurezza, diplomazia e propaganda in Medio Oriente.