MILANO – Nuovo terremoto nel mondo dell’alta moda italiana. Un’importante azienda del settore, con sede nel Milanese, è finita sotto amministrazione giudiziaria su disposizione del Tribunale di Milano – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della Procura della Repubblica, con l’accusa di non aver adottato adeguati controlli nella propria filiera produttiva, lasciando proliferare gravi fenomeni di sfruttamento lavorativo e caporalato.
L’inchiesta, condotta dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Lavoro di Milano, ha messo in luce una complessa rete di subappalti illeciti, opifici gestiti da cittadini cinesi e società “fantasma” utilizzate per mascherare una vera e propria produzione sommersa. La committente, un colosso del lusso noto a livello internazionale, affidava la realizzazione di borse e accessori a terzi, esternalizzando l’intero processo produttivo attraverso una società controllata, limitandosi alla sola prototipazione.
Subappalti irregolari e sfruttamento sistemico
Secondo gli investigatori, questa organizzazione consentiva di massimizzare i profitti comprimendo drasticamente i costi del lavoro, spesso attraverso l’impiego di manodopera irregolare e clandestina, in condizioni che la Procura definisce «di grave sfruttamento». In sette opifici controllati nelle province di Milano e Monza-Brianza, sono stati identificati 67 lavoratori, di cui 9 “in nero” e 3 clandestini. Le condizioni riscontrate includevano paghe da fame, orari estenuanti, ambienti insalubri e violazioni sistematiche delle norme sulla sicurezza.
In alcuni casi, i lavoratori vivevano all’interno degli stessi laboratori, in dormitori abusivi, privi di servizi igienici adeguati, ventilazione o spazi minimi vitali. La sorveglianza sanitaria, la formazione obbligatoria e le misure antinfortunistiche erano completamente assenti.
Produzione occulta e frodi fiscali
L’indagine ha permesso di scoprire anche tre società “ombre”, formalmente registrate ma prive di dipendenti, create unicamente per simulare attività produttive inesistenti. Queste società emettevano fatture fittizie verso la casa madre, mentre la produzione reale veniva affidata in nero a subappaltatori irregolari, eludendo così controlli ispettivi e contributi fiscali.
Sono sette i titolari di aziende deferiti per caporalato, tutti cittadini di origine cinese, insieme a tre soggetti irregolari sul territorio nazionale. Le autorità hanno inoltre elevato ammende per un totale di 286.000 euro e sanzioni amministrative per 35.000 euro.
Una rete già sotto osservazione
Il caso si inserisce in una serie di inchieste analoghe che nei mesi scorsi hanno coinvolto altre maison del lusso operanti nella stessa area geografica e con schemi simili di esternalizzazione opaca. Le indagini, partite nel marzo 2024, rivelano come alcune eccellenze del made in Italy si appoggino a meccanismi produttivi che sfuggono ai minimi standard etici e legali, pur beneficiando del prestigio e del valore aggiunto del marchio.
La fase delle indagini e le garanzie processuali
La Procura di Milano ha specificato che il procedimento per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro si trova ancora nella fase delle indagini preliminari, e che ogni responsabilità sarà definitivamente accertata solo con sentenza irrevocabile.
Il blitz dei Carabinieri apre un nuovo capitolo nella riflessione sulle responsabilità etiche delle grandi aziende committenti, che – anche senza dolo – possono contribuire a generare catene del valore fondate sullo sfruttamento. Un modello insostenibile che ora anche la magistratura cerca di arginare, colpendo non solo gli anelli più deboli, ma anche chi sceglie di ignorare.