A cura di Ionela Polinciuc
Il rapporto tra i giovani e la politica sembra sempre più segnato da una distanza profonda, quasi incolmabile. Ma questa frattura è davvero solo il segno di una generazione disinteressata o è la politica stessa ad allontanarsi dai giovani? In molti casi, non si tratta di indifferenza, ma di una sfiducia radicata. Promesse non mantenute, scandali che sembrano non avere mai fine, un linguaggio vuoto e distante. I giovani guardano alla politica come a un mondo che non parla loro, che non li comprende, che si preoccupa di altri interessi. E allora, chi ha smesso di cercare chi?
Se osserviamo più da vicino, non è vero che i giovani non si impegnano. Guardiamo ai movimenti globali per il clima, ai cortei contro le disuguaglianze, alla mobilitazione per i diritti umani. Qui troviamo energia, determinazione e visione. Eppure, questa forza raramente si traduce in una partecipazione nei canali istituzionali. La politica, con i suoi tempi lunghi e il suo linguaggio ingessato, appare spesso lontana e inefficace. Di fronte a questo scenario, viene da chiedersi: è la politica che ha perso la capacità di essere uno strumento di cambiamento o sono i giovani che hanno rinunciato a vederla come racconto?
Un nodo cruciale è quello della rappresentanza. I giovani si sentono esclusi dai luoghi dove si prendono decisioni importanti. Guardano alle istituzioni e vedono volti e priorità che non li rappresentano. Temi come il cambiamento climatico, la precarietà lavorativa, l’accesso all’istruzione e alla casa, fondamentali per le nuove generazioni, sembrano occupare uno spazio marginale nelle agende politiche. Ma questa esclusione è solo una colpa della politica? I giovani stanno davvero facendo tutto il possibile per rivendicare il loro posto o c’è una rassegnazione che li spinge verso un ruolo da spettatori?
Un altro aspetto cruciale è la mancanza di strumenti. L’educazione civica, spesso trascurata, lascia molti giovani privi delle basi per comprendere come funziona la democrazia. I media, più inclini ad esaltare il conflitto e la spettacolarità, restituiscono un’immagine della politica che si allontana anziché avvicinare. Come può una generazione avvicinarsi alla politica, se questa viene presentata come un gioco sporco o come qualcosa di cui è meglio stare alla larga? E noi, come società, stiamo davvero facendo abbastanza per educare i giovani a vedere nella politica non un nemico, ma un mezzo per costruire il futuro?
Eppure, è proprio nella politica che risiede il potenziale per il cambiamento. I giovani, con la loro energia e la loro visione, possono essere la forza capace di trasformare un sistema che oggi sembra stanco. Ma questa trasformazione richiede uno sforzo relazionale. La politica deve trovare il coraggio di aprirsi, di ascoltare, di cambiare. I giovani, da parte loro, superare il cinismo e devono riconoscere che la partecipazione è una responsabilità. Non basta criticare da lontano; è necessario farsi avanti, proporre, costruire.
La domanda non è più chi ha perso chi, ma se siamo ancora in tempo per ritrovarci. La politica, nonostante i suoi limiti, rimane lo strumento più potente per agire su larga scala. Ma siamo pronti, come società, a renderla uno spazio in cui le generazioni dialogano e costruiscono insieme? E i giovani, sapranno cogliere la sfida, riconoscendo che solo partecipando possono cambiare ciò che non li rappresenta?
La risposta a queste domande non può venire da una sola parte. Riguarda tutti noi. Perché la politica, in fondo, non è altro che il luogo dove decidiamo chi vogliamo essere come comunità. E se vogliamo costruire un futuro migliore, non possiamo permetterci di lasciare i giovani fuori dalla stanza dove si prendono le decisioni.