5 Maggio 2024, domenica
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Carcere e bisogni di civiltà

A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano

Nel transitare in una zona del centro di alcune città non si può non notare  il carcere , e meno male che ancora non non sono stati  confinati in una desolata periferia cittadina, perché con tutte le sue contraddizioni, le condizioni di degrado dell’immobile, il sovraffollamento, posto lì ha la possibilità di essere guardato come un luogo tutt’uno con la vita della città, non solo con il fine di impedire al reo di compiere altri reati, ma anche a monito per tutti gli altri cittadini a non commettere gli stessi errori.

Partendo da questa drammatica realtà, una mente piena di tanta buona volontà non può che non avere l’intuizione che là dentro ci fosse la possibilità di vedere la pena trasformare la colpa in responsabilità senza cancellare la dignità dell’uomo, partendo proprio dalla possibilità di incontrare coloro che nelle carceri risiedono, senza esclusione di nessuno, senza la censura per alcuni reati e senza mai dimenticare le vittime delle azioni negative commesse.

Nessuno dovrebbe uscire dal carcere e terminare la sua pena senza aver avuto la possibilità di provare a capire che è possibile vivere in un altro modo e questo dovrebbe avvenire soprattutto durante il periodo di detenzione, ma questa è la vera emergenza poiché non è molto sviluppata l’idea di educazione, di consapevolezza rispetto alla realtà drammatica che accompagna la detenzione, e se non si lavora su quest’aspetto qualunque misura legislativa risulterà insufficiente.

Sorprendentemente la comunità civile esiste, i volontari, gli operatori sociali, gli enti religiosi sono tutti protesi a incidere positivamente nel cammino di ripartenza trasformando i pochi talenti in  tesori preziosi , però si fa veramente fatica a rispondere ai bisogni materiali che nascono da questi incontri. Partendo dalle prime necessità che si palesano già all’inizio della detenzione, con il bisogno di abiti e biancheria, di materiale per l’igiene personale, tutte cose che marcano il limite tra chi ha alle spalle una famiglia o una comunità di riferimento e chi invece è solo.

Durante il periodo di detenzione emergono poi tanti bisogni, dalla salute ai problemi dovuti al mancato sostentamento delle famiglie fino ad arrivare al fine pena dove chi esce da un periodo di reclusione si trova indubbiamente in gravi difficoltà, sia pratiche sia relazionali, senza una casa, senza un lavoro e molto probabilmente anche senza una famiglia di riferimento ed è qui che se la persona non viene sostenuta e accompagnata in percorsi di ripresa della propria vita è probabile che ripeterà il suo errore. Per questo c’è un grande bisogno di fare rete tra le varie opere che lavorano in questo mondo che a oggi si sostiene da solo, ma che ha bisogno di condividere il peso delle iniziative sotto tutti gli aspetti.

La cartina di tornasole per misurare il grado di giustizia di un Paese, di una società si denota da ciò che affermava Voltaire: “Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione.”

La speranza è di continuare ad aver la possibilità di aprire finestre e fare l’esperienza di un incontro.


Chi diventa amico dei detenuti nelle carceri, oltre a vivere un’opera di misericordia spirituale, attua il quasi dimenticato principio costituzionale “Vigilando redimere”.

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