18 Aprile 2024, giovedì
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Il presente ha valore

a cura del Prof Giuseppe Catapano

La conoscenza della storia è “indispensabile per l’osservazione, l’interpretazione e la comprensione della realtà in cui si vive”, perché “l’analisi di quel passato” costituisce “un riferimento essenziale per comprendere il mondo attuale. Fornisce un senso critico dell’identità degli individui e dei gruppi umani e promuove la comprensione delle tradizioni e dei lasciti culturali che compongono le società odierne”. Il problema è che il piano di studi non si limita a menzionare i fatti storici, ma questi vengono subordinati alle interpretazioni che sorgono in base “alle preoccupazioni e agli interessi della società in ogni momento” e secondo il “pensiero storico”. Questo capovolge il normale ordine delle cose. I fatti storici appaiono sfocati, persino discutibili e prevalgono sviluppi sociologici, politici o economici. Come affermano giustamente gli storici che hanno criticato il piano, questi sviluppi “devono essere posteriori a quelli storici”. 

Siamo di fronte a un male molto frequente del nostro tempo: i fatti sono sostituiti da interpretazioni e questa sostituzione diventa un sistema. È interessante chiedersi cosa c’è sotto questo modo di guardare alla storia. In larga misura spiega una posizione non solo su ciò che è accaduto, ma su ciò che accade, sul presente, sull’istante.

La preminenza del “pensiero storico” su ciò che è accaduto non è solo una tendenza di un certo pensiero pedagogico progressista. È un fenomeno trasversale che riguarda destra e sinistra. Da diversi secoli ormai gli eventi del passato sono considerati parte di un sistema perfettamente definito da cui gli eventi imprevisti sono esclusi. Tutto ciò che accade è il risultato di cause che possono essere definite in anticipo. La storia è il luogo in cui lo spirito o la materia evolvono secondo processi perfettamente definiti. Per capire cos’è successo e cosa sta per accadere è sufficiente un’analisi accurata delle cause sufficienti. Questa analisi permette di raggiungere il “tutto”. Un “tutto” che ovviamente è astratto. È una “totalità” che deve necessariamente sopprimere il presente. Per il “pensiero storico” il presente non esiste, il valore dell’istante particolare è scomparso. L’adesso è già andato per entrare in una corrente universale e anonima che deve cogliere il futuro e privarlo di ogni possibilità di imprevisti. 

Anche se abbiamo studiato bene la storia, siamo rimasti senza un presente. Il passato non può essere tradizione perché non richiede alcun esercizio critico perché sia riscattato il suo valore per la persona e per l’istante. L’istante, in questo modo, non è nulla, su di esso non pesa né l’eterno, né ciò che è accaduto, solo le leggi della “totalità”. E senza istante non ci può essere intuizione dell’eterno. L’eterno e l’infinito fanno capolino solo nel presente. 

Viviamo in un mondo pieno di “totalità”, di sistemi, ma senza infinito. La soluzione è tornare ai fatti? La risposta è riconquistare i fatti e lasciare le interpretazioni in secondo piano? I fatti, senza dubbio, sono necessari. Ma a questo punto non basta tornare all’oggettivismo o al realismo ingenuo. Forse non sono mai stati sufficienti, ma ora lo sono molto meno. I fatti, come gli insegnanti, sono essenziali, altrimenti non c’è accesso al presente, non c’è accesso immediato all’immenso valore che ha per risvegliare e costruire una persona. Ma né i fatti, né gli insegnanti, né le associazioni, né i movimenti organizzati, tantomeno i partiti o certe forme di gruppi religiosi e sociali, sono sufficienti per questo compito urgente all’inizio del XXI secolo. 

La persona non si costruisce solo con i fatti e gli insegnanti, ma stabilendo una connessione critica e personale tra il presente e ciò che si desidera, ciò che si attende. Qualsiasi organizzazione o realtà sociale che non favorisca sistematicamente questa connessione è un ostacolo.

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