20 Aprile 2024, sabato
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Benno Neumair, la confessione dell’omicidio. Venti minuti di follia

«Papà mi rinfacciava che non valessi niente. Era uscito fuori il discorso delle mie responsabilità, e mia sorella… Mi sono sentito così alle strette, così senza una via d’uscita. Io mi rifugio in camera e vengo incalzato anche se voglio stare in pace. Volevo solo il silenzio. L’ho zittito, ho preso dalla bacinella di plastica dove ho gli attrezzi la prima corda di arrampicata che ho trovato». Inizia così il racconto dei 20 minuti di follia di Benno Neumair, il trentunenne che il pomeriggio del 4 gennaio ha ucciso i genitori in casa, caricato i corpi nel bagagliaio della macchina del padre, per poi sbarazzarsene, gettandoli nelle acque dell’Adige, dal ponte di Ischia Frizzi, prima di raggiungere l’amica Martina, insieme alla quale ha trascorso la notte.

«Mio padre mi rimproverava che dovevo aiutare di più a casa»

Il racconto di Benno, in carcere con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere, è riportato nei verbali dei due interrogatori desecretati negli scorsi giorni dalla Procura di Bolzano, e resi pubblici, ieri sera, da Quarto grado, nel servizio di Matteo Macuglia. Benno — «un manipolatore», secondo le testimonianze di alcuni parenti — racconta di essere stato a casa insieme al padre Peter, il pomeriggio del 4 gennaio, e di aver litigato con lui a più riprese. Prima, per chi dovesse portare fuori il cane della nonna, che proprio quel giorno sarebbe uscita dall’ospedale. La madre, Laura Perselli, era andata a prenderla. «Mio padre mi rimproverava che dovevo aiutare di più a casa — racconta Benno —. Sono andato in camera mia per non dover più discutere, come spesso accadeva».

Accende il computer, e si addormenta. Poi entra il padre, e lo sveglia. «È scoppiata una discussione sui soldi: io ho sempre dato 350 euro per l’affitto ai miei genitori, già da quando sono tornato a Bolzano. Mio padre voleva che prendessi l’appartamento di sotto, altrimenti mi avrebbe chiesto 700 euro a partire da gennaio, ovvero un terzo dell’affitto perché siamo tre adulti. Io risposi che non era giusto. Mio padre insisteva che dovevo uscire di casa, che mia sorella, invece, si pagava da sola un appartamento in Germania. Io mi sentivo male dentro». Al punto da arrivare all’atto estremo. «Eravamo in corridoio. Siamo cascati insieme per terra, non so se l’ho strozzato da dietro o da davanti. Ricordo solo che ho stretto molto forte. Poi sono rimasto seduto, o sdraiato in corridoio. Ricordo che in quel momento è suonato il mio cellulare, probabilmente ho risposto. Poi ricordo che mi sono di nuovo agitato, sentendo il rumore del cellulare e poi, subito dopo, il rumore del chiavistello. Mi sono mosso verso la porta, è entrata la mamma, avevo ancora il cordino in mano e mi è venuto di fare la stessa roba, senza nemmeno salutarla».

«Ho lanciato dalla pista ciclabile i cellulari»

Strangolata a morte anche lei, come rivelerà il suo corpo, restituito dal fiume la mattina del 6 febbraio. Il racconto del trentunenne prosegue, a ritmo incalzante. «Il cellulare della mamma era caduto per terra, ho avuto paura, mi sono messo i pantaloni, sono uscito col cellulare della mamma e con quello del papà che aveva lo schermo scheggiato. Ho indossato il giaccone blu, sono uscito a piedi. Poi sono rientrato a casa, ho preso la bici, ho iniziato a pedalare fino all’altezza di ponte Roma, dove mi hanno salutato due conoscenti sudamericani e mi sono fermato. Mi sono reso conto, in quel momento, di avere freddo. Ho chiesto ai sudamericani se avevano marijuana. Non avevo soldi, quindi non ho comprato nulla. Ho lanciato dalla pista ciclabile i cellulari, tra il ponte di legno e il ponte Roma, verso il fiume. Ma non so se sono finiti nel fiume, o se sono rimasti sull’argine».

I tanti depistaggi

Una versione che si discosta dalla ricostruzione degli inquirenti, secondo i quali Benno avrebbe invece nascosto il cellulare della madre lungo l’argine. Uno dei tanti tasselli del depistaggio messo in campo dal trentunenne. Poi, Benno — che aveva anche pensato a una fuga, addirittura in India — torna a casa, e si trova davanti alla realtà. «C’era il corpo della mamma all’ingresso. Sono andato in bagno, ho acceso la stufa per riscaldarmi. Lì c’erano i pantaloni miei, che avevo indossato in precedenza, con dentro il mio telefono. Ho telefonato alla mamma. Ero contento che il telefono squillasse, perché poteva significare che mi fossi sognato tutto».

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