Spetta il mantenimento alla moglie che lavora a nero ?
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Ebbene, secondo la giurisprudenza, anche uno stipendio da lavoro in nero contribuisce a incrementare le disponibilità reddituali della moglie. Non importa che non vengano versati i contributi previdenziali. Il che significa che il giudice potrà negare o ridurre gli alimenti anche in presenza soltanto di un lavoro irregolare. Peraltro – non dimentichiamolo – il dipendente non denunciato all’ufficio del lavoro può sempre azionare la tutela giudiziaria per ottenere una formale assunzione e il versamento dei contributi non versati, vedendo la propria posizione così stabilizzarsi definitivamente. Il tutto con il gratuito patrocinio se lo stipendio è inferiore a mille euro circa al mese.
Non è tutto. Se la donna è ancora giovane e ha effettive capacità di inserirsi nel mondo del lavoro, il mantenimento può essere negato già all’origine. Questo perché, seguendo l’insegnamento della più moderna Cassazione, è la moglie che chiede l’assegno a dover dimostrare di averne necessità. Necessità tutt’altro che scontata se le condizioni fisiche e di salute, nonché la pregressa formazione, consentono ancora un reimpiego nel mondo del lavoro.
Spetta allora all’ex moglie, se vuol essere mantenuta, dimostrare di non essere in grado – e non per sua colpa – di sostenersi da sola. Si legge sul punto nella sentenza in commento: in tema di separazione personale se è vero che l’onere della prova del diritto al mantenimento spetta in via generale a chi lo chiede (e, quindi, nel nostro caso, alla moglie) il giudice può comunque ricorrere a indizi (o meglio dette “presunzioni”) per valutare le effettive capacità del soggetto di inserirsi nel mondo del lavoro avendo presenti le reali condizioni del mercato, anche alla luce dell’età, del grado di istruzione e delle pregresse esperienze lavorative. La valutazione non deve essere astratta ma effettuata considerando ogni concreto fattore individuale e ambientale: conta soltanto se chi chiede il mantenimento possieda utilità o capacità suscettibili di valutazione economica, dunque l’attitudine a svolgere un’attività produttiva retribuita.
In sintesi, secondo l’attuale interpretazione, la disponibilità di un lavoro in nero – nonostante l’apparente precarietà del vincolo con il datore di lavoro – va considerata come una reale capacità economica che può comportare la negazione dell’assegno di mantenimento o, in caso di divorzio, dell’assegno divorzile.