26 Aprile 2024, venerdì
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Ue: Parlamento vs Ungheria, a Strasburgo un match delicato

In un’Unione europea spazzata da un forte vento nazionalista, come confermato anche dalle recenti votazioni in Svezia, il Parlamento europeo ha deciso di mettere sotto stretta osservazione l’Ungheria. Nella prima sessione post-estiva di quest’ultima parte della ottava legislatura il piatto forte sarà proprio un incontro (scontro?) con il premier ungherese Viktor Orbán, oltre che il discorso sullo stato dell’Unione che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker pronuncerà mercoledì 12 settembre.Immagine correlata

Il percorso contro l’Ungheria
L’antefatto risale alla plenaria del Parlamento europeo dell’aprile di quest’anno, nel corso della quale era stato messo in luce “un evidente rischio in Ungheria di grave violazione dei valori” su cui si basa l’appartenenza all’Unione, come chiaramente scritto nell’articolo 2 del Trattato.

In quell’occasione, i parlamentari europei avevano approvato una risoluzione/mandato alla propria Commissione per le libertà civili di valutare questo rischio e di raccomandare, se del caso, la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato. I voti a favore erano stati 393, i contrari 221 e gli astenuti 64.

A fine giugno, la Commissione parlamentare presieduta dalla verde Judith Sargentini ha redatto una proposta di risoluzione estremamente dettagliata e pesante sul reale rischio che l’Ungheria abbia davvero superato la sottile linea rossa che porta dalla democrazia all’autoritarismo. Anzi, la Sargentini sottolineava il fatto che il troppo tempo sprecato di fronte alle numerose decisioni antidemocratiche di Orbán  non aveva fatto altro che aggravare la situazione. Con 37 voti a favore e 19 contrari, la Commissione aveva quindi raccomandato al Parlamento di avviare la procedura per l’attivazione dell’articolo 7 paragrafo 1.

Il precedente della Polonia
Ed è ciò che sta avvenendo in questi giorni con l’invito a Orbán a dare la propria versione di questo progressivo scivolamento dell’Ungheria fuori dai valori fondanti dell’Ue. Va anche ricordato che l’Ungheria arriva buona seconda nella lista dei Paesi che minacciano le basi democratiche su cui si regge l’Unione. Il primo caso nel 2016/17 era stata la Polonia di Jaroslaw Kaczynski, messasi in rotta di collisione con i valori dettati dall’articolo 2 del Trattato.

Ma in quell’occasione l’avvio della procedura di violazione era stato richiesto dalla Commissione di Bruxelles nel suo ruolo di guardiano del Trattato. Il Parlamento non aveva fatto altro che approvare nel settembre del 2017 l’avvio della procedura di violazione, con una grande maggioranza di 438 voti a favore, contro i 152 dei nazionalisti europei e 71 astenuti.

Il Parlamento in prima linea, ma senza strappi
In questo caso, sarà lo stesso Parlamento ad assumersi la responsabilità di chiedere al Consiglio di attivare l’articolo 7 paragrafo 1. Forse è bene tuttavia precisare che il paragrafo 1 dell’articolo 7 rappresenta semplicemente l’anticamera di misure ben più pesanti che sono contenute nel successivo paragrafo 2, dove si arriva a sanzionare davvero lo Stato sotto procedura (dalla sospensione del diritto di voto a conseguenze di carattere finanziario).

Per ora, quindi, ci si limita ad aprire un confronto formale con il Paese in questione mettendolo sotto controllo e sollecitandolo ad abrogare le norme antidemocratiche. Quindi tempi lunghissimi e risultati incerti, anche perché per attivare il paragrafo 2 occorre l’unanimità in Consiglio, contro i 4/5 di voti previsti per il primo paragrafo. La mossa è perciò essenzialmente politica ed avviene a meno di nove mesi dalle prossime elezioni del Parlamento, a fine maggio 2019.

Intreccio di giochi e di candidature
Va anche notato come la votazione sull’attuale bozza di risoluzione veda profilarsi una maggioranza meno schiacciante di quanto avvenuto nel caso polacco. Una delle ragioni nasce dall’imbarazzo del Ppe, la grande famiglia moderata/conservatrice che ospita nei suoi ranghi parlamentari anche la pattuglia di rappresentanti del Fidesz, il partito di Orbán.

Proprio nei giorni in cui la cancelliera Merkel sostiene la candidatura a Spitzenkandidat del capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, ecco il voto parlamentare su Orbán e la sua Ungheria. Per di più Weber è membro della Csu, fazione bavarese super-conservatrice del partito della Merkel, alle prese con le elezioni di ottobre in Baviera, che la spingono su posizioni non dissimili da quelle di Orbán, almeno per quanto riguarda il tema dell’immigrazione.

A Weber i voti e il sostegno di Fidesz, per quanto limitati a 12 deputati su un gruppo, il Ppe, che oggi ne conta 218, fanno comodo in vista delle elezioni del prossimo Parlamento europeo, soprattutto in un periodo in cui i partiti nazionalisti e anti-Ue crescono dappertutto a spese dei moderati europei.

Il fattore Italia
Qui, per altro, si innesta un elemento di ulteriore complicazione, che riguarda anche l’Italia e la nascente alleanza fra Orbán e il leader della Lega Matteo Salvini. Quest’ultimo, a livello europeo, si colloca all’estrema destra in compagnia, fra gli altri, di Marine Le Pen e Geert Wilders e rende con ciò ancora più ambigua e fonte di guai la posizione di Orbán in combutta con Salvini e contemporaneamente membro del Ppe.

Insomma un rompicapo che può influenzare negativamente il Parlamento, che nel voto sulla risoluzione da proporre al Consiglio dovrà raggiungere i due terzi dei consensi della maggioranza assoluta dei parlamentari (376). Infine non vi è dubbio che di fronte all’Assemblea di Strasburgo Orbán non arretrerà di un millimetro dalle sue posizioni ideologiche, che consistono nel sostenere un’Europa cristiana in netta contrapposizione con l’islamismo nemico e la necessità di difenderci anche con i metodi autoritari di quella che lui definisce una democrazia illiberale.

Anche le ultime leggi del governo ungherese si muovono in questa direzione, come il rifiuto del diritto di asilo e le sanzioni penali nei confronti delle Ong che proteggono i migranti. Misure che si aggiungono a un lungo elenco di decisioni illiberali di questi ultimi anni. Purtroppo l’Unione è stata lenta a reagire ed oggi la situazione generale in Europa è ancora più difficile di alcuni anni fa. Avremmo bisogno di grande chiarezza e della volontà di troncare i rapporti con questi movimenti estremi, nazionalisti e xenofobi. Va quindi costruita una grande coalizione di forze progressiste e liberali che ribaltino il discorso dei nazionalisti e facciano da barriera al vento impetuoso degli anti-Ue. Il voto di mercoledì del Parlamento sarà quindi un segnale importante per il futuro dell’Unione.(affarinternazionali.it)

a cura di Carmine Cilvini

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