La presidenza italiana dell’Osce nel 2018 coinciderà con ogni probabilità con una delle fasi più delicate della vita dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che, nata come processo di dialogo politico al culmine della Guerra Fredda, è riuscita solo parzialmente – a causa delle diverse priorità e sensibilità dei principali Stati membri – ad adattare i suoi strumenti e modalità di azione alle sfide del nuovo secolo.Sulla carta, le potenzialità dell’Osce sono notevoli. Il concetto di sicurezza su cui si basa è ampio e inclusivo: un forte accento sulla prevenzione dei conflitti, un ampio toolbox che include misure di fiducia e disarmo in campo militare, la promozione di diritti umani e libertà fondamentali quali elementi di rafforzamento della stabilità all’interno degli Stati, un’impostazione moderna e dinamica delle politiche miranti ad affrontare le minacce transnazionali, una grande attenzione ai temi della buona governance nel settore economico e ai temi ambientali.
Un’organizzazione per obiettivi divergenti
Il problema è che numerosi Paesi chiave (e la stessa Unione europea) investono poco nell’organizzazione e tendono ad utilizzarla in maniera selettiva e strumentale per il perseguimento di obiettivi nazionali. A differenza di Nato e Ue, l’Osce non è infatti un’organizzazione incentrata su priorità politiche o di sicurezza condivise dai Paesi membri: al contrario, i Paesi Osce hanno sovente visioni e obiettivi divergenti, e per questo il ruolo dell’Organizzazione è di fungere da ponte fra queste differenti sensibilità.La regola del consenso – che inevitabilmente limita le opzioni della presidenza di turno specialmente in una fase, come la presente, di difficile allineamento delle priorità strategiche dei diversi gruppi di Stati – va preservata quale garanzia fondamentale della legittimità dell’azione dell’Organizzazione, indispensabile per assicurare universale sostegno alla messa in atto delle misure concordate.Il coinvolgimento dell’Osce nella crisi in Ucraina, con una delle più ampie operazioni sul terreno nella storia dell’Organizzazione, costituisce un’importante illustrazione di questa funzione di ponte tra potenziali avversari. E resta tuttora da vedere se le Nazioni Unite riusciranno a procedere allo spiegamento di una missione militare di pace nel Paese, viste le persistenti differenze di impostazione tra Mosca e Kiev (sostenuta, quest’ultima, da una serie di Paesi occidentali).La gestione del rapporto tra Russia e Occidente resterà anche per il prossimo futuro l’imperativo chiave per la presidenza di turno dell’Osce, che dovrà cercare di mantenere una posizione equidistante – pur senza condonare violazioni dei principi fondamentali della Carta di Helsinki – fra attori propensi a scambiarsi tra loro accuse e abbandonarsi a recriminazioni, a scapito del dialogo.
Fra diritti e sicurezza
Sullo sfondo, al di là dei temi legati alla crisi ucraina, c’è una chiara divergenza sugli obiettivi da perseguire attraverso l’azione dell’Organizzazione. I paesi occidentali vogliono che al centro dell’agenda restino la promozione dei diritti umani e le libertà fondamentali, il rispetto dello stato di diritto e i valori democratici. Per la Russia e per vari altri Paesi dello spazio ex-sovietico, i temi della sicurezza restano fondamentali (l’allargamento delle istituzioni euro-atlantiche, Nato in primis, e le loro attività nell’Europa centro-orientale vengono visti come elementi destabilizzanti).
Un risvolto particolare di questa divergenza di visioni riguarda il ruolo delle istituzioni dell’Osce (l’Alto commissario per le minoranze nazionali, all’Aja, l’Odihr – l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani -, a Varsavia, e il Rappresentante per la libertà dei media, a Vienna) e delle missioni sul terreno. Queste ultime sono considerate dai Paesi ospiti come strumenti cooperativi per migliorare la capacità delle istituzioni locali di attuare gli impegni assunti, mentre molti Paesi occidentali insistono sull’importanza delle funzioni di monitoraggio e analisi politica delle missioni.In assenza di un dialogo aperto e di iniziative per l’aggiornamento di talune attività delle istituzioni e delle missioni sul terreno, questa fondamentale divergenza di vedute rischia di accelerare rinegoziazioni dei mandati delle missioni in chiave riduttiva – se non addirittura a chiusure delle presenze sul terreno – e di erodere la legittimità dell’operato delle istituzioni.
Immigrazione e integrazione
In crescita nell’agenda dell’Organizzazione è il tema delle migrazioni e, di conseguenza, dell’integrazione, al quale certamente dedicherà grande attenzione la presidenza italiana dell’Osce nel 2018. Centrale, al riguardo, è il lavoro dell’Alto commissario Osce per le minoranze nazionali. Un forte accento sull’educazione e sull’uso della lingua come elementi che, con opportuno equilibrio, mirano a preservare l’identità linguistica e culturale dei nuovi arrivati nel contesto di una strategia di progressiva integrazione e comprensione della lingua e cultura del Paese di nuova residenza, costituisce una garanzia per il pieno inserimento sociale delle nuove generazioni, essenziale per evitare segregazione etnica, linguistica o religiosa, suscettibile, se perpetuata, di generare radicalismo.Le tematiche relative al dialogo tra i Paesi del Mediterraneo, uno dei volet chiave nell’agenda dell’Organizzazione, potranno costituire un utile veicolo per coinvolgere i Paesi della sponda sud in questo dialogo, avviato alla Conferenza Mediterranea di Palermo lo scorso ottobre. La rivitalizzazione di questo dialogo, con un rafforzamento degli aspetti operativi e di cooperazione, rappresenterà certamente un’altra priorità della presidenza italiana.