20 Aprile 2024, sabato
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Le urne di Kabul alla sfida della governabilità

Il 5 aprile gli afghani hanno votato per eleggere il successore di Hamid Karzai alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Afghanistan: buona l’affluenza alle urne, sia maschile che femminile, nelle aree urbane del paese, meno forte e più problematica nelle aree periferiche e remote – il vero Afghanistan.

Nel complesso, circa duecento gli attacchi portati a termine dai taliban nella giornata dell’appuntamento elettorale, altrettanti i seggi chiusi in anticipo per problemi di sicurezza; una situazione che, in generale, conferma l’instabilità afghana.

Un’instabilità che si accompagna al tentativo di “dialogo politico” con i gruppi di opposizione armata e ai tentativi di revisione (e riduzione) dei diritti costituzionali – in particolare quelli delle donne – al fine di convincere i gruppi insurrezionali ad accettare una soluzione negoziale (argomento a cui i media hanno dato scarso risalto, ma che la stessa Comunità internazionale ha messo in conto).

Karzai a colloquio con i taliban 
Stati Uniti e attori regionali guardano con favore a un “balance of power” tra i gruppi etno-religiosi afghani: un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun e le altre minoranze.

Hamid Karzai, sospeso il dialogo formale con Washington, ha avviato un intenso colloquio con i taliban. Non è esclusa un’intesa volta a preservare gli equilibri di potere nell’area di Kandahar, dove i Karzai mantengono interessi politici ed economici.

Sul fronte opposto, i taliban hanno dimostrato di poter contrastare con la forza elezioni “illegittime” e “anti-islamiche”: una minaccia che, sebbene ridimensionata rispetto alla propaganda insurrezionale pre-elettorale, ha aumentato il livello di preoccupazione generale.

Pashtun e tagichi 
I pashtun, gruppo predominante al sud e all’est, storicamente al potere in Afghanistan e sostenuti dall’esterno dal Pakistan, confermano di volersi muovere su linee di demarcazione etno-culturale. In particolare, il gruppo dei “Durrani” di Kandahar (del quale fa parte la stessa famiglia Karzai) ha avviato una “collaborazione inter-etnica” per ridurre la dispersione di voti e aumentare la possibilità di accesso di un proprio candidato alla presidenza.

Tra Qayum Karzai (fratello dell’attuale presidente), Gul Agha Sherzai, Muhammad Nader Na’im e Zalmai Rassul, la scelta è ricaduta su quest’ultimo, nonostante un primo orientamento su Qayum Karzai (ritiratosi dalla competizione in favore di Rassul: difficile non immaginare un ruolo attivo di Hamid Karzai in tale scelta razionale).

Tra i tagichi, l’importante gruppo etnico e di potere antagonista ai pashtun, presente prevalentemente a nord e a ovest del paese e sostenuto da alcuni attori regionali (tra i quali Iran, Russia e Tajikistan), gli equilibri sono mutati con la scomparsa di Muhammad Qasim Fahim, l’influente signore della guerra anti-taliban, nonché vice-presidente dell’Afghanistan e garante del sostegno a Karzai da parte delle comunità del nord.

Fahim era destinato a giocare un ruolo importante nell’Afghanistan post-elettorale; una scomparsa che ha lasciato spazio di manovra a un altro influente tagico: Ismail Khan, anche lui potente signore della guerra, già governatore di Herat e candidato vice-presidente nella lista di Sayyaf, uomo capace di accendere gli animi inquieti di quella componente tagika indisposta al “dialogo” con i taliban.

Abdullah e Ghani favoriti 
Oltre la metà degli elettori si è dichiarata disposta a sostenere un candidato propenso al dialogo con i gruppi insurrezionali ed ha auspicato la vittoria di un soggetto propenso alle buone relazioni con il Pakistan; il 60% guarda con favore a relazioni durature con gli Stati Uniti.

Nel complesso, l’interesse dell’opinione pubblica afghana è aumentato, sebbene il 58% delle schede elettorali inserite nelle urne non corrisponda necessariamente al 58% di elettori (il riferimento ai brogli elettorali è esplicito); ma questo non cambia la sostanza di un processo elettorale comunque debole e il cui peso e ruolo sono stati amplificati da un’attenzione mediatica distratta e, in molti casi, superficiale.

Dunque, quale il futuro politico dell’Afghanistan?

È probabile che nessuno dei candidati otterrà più del 50% cento dei voti – di ciò avremo conferma nelle prossime settimane; ma è altresì probabile che ciò imporrà accordi negoziali tra le parti, in particolare con gli esclusi dal probabile ballottaggio.

Abdullah, l’ex ministro degli Esteri, metà tagico e metà pashtun, e Ashraf Ghani Ahmadzai, ex ministro delle Finanze di etnia pashtun, sono dati per favoriti: il primo in grado di raccogliere il consenso dell’elettorato tagico e di quello, seppur limitato, femminile, il secondo più convincente per quello di estrazione urbana e delle regioni settentrionali a prevalenza uzbeca (uno dei due candidati vice-presidenti è il potente uzbeco Dostum).

E Zalmai Rassoul, ministro degli Esteri uscente, pashtun apprezzato anche dai tagichi, rappresenta la terza potenziale incognita, anche grazie al sostegno di Qayum Karzai.

Poche speranze rimangono per gli altri concorrenti, il cui ruolo potrebbe riservare qualche sorpresa proprio in occasione del secondo turno elettorale: Abdul Rab Rassul Sayyaf e Gul Agha Sherzai.

Nel complesso, date le premesse, è facile prevedere un’inquieta fase post-elettorale a causa delle irregolarità e dei brogli che verranno denunciati, ma nessun cambiamento radicale nella politica afghana.

Dato per scontato che un’unica coalizione politica non riuscirà a prevalere, lo stato di incertezza sarà amplificato dalle dinamiche multilivello che spingeranno ad accordi in vista del ballottaggio dove il candidato più accreditato, Abdullah, potrebbe vedersi contrapposto a un’unica grande coalizione pashtun.

Molto dipenderà da come gli stessi pashtun nel sud del paese hanno votato, anche in relazione alla forte influenza dei taliban e alla difficoltà nel controllo della regolarità del processo elettorale in quella parte dell’Afghanistan.

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