Da oggi l’aliquota Iva ordinaria passa dal 21 al 22 per cento. La crisi politica non ha permesso di evitare o almeno rimandare ancora l’aumento dell’imposta, previsto dal dl n. 98/2011 e già rinviato due volte. Scatta, dunque, il secondo rialzo di un punto nel giro di due anni (si ricorderà, infatti, che l’aliquota era salita dal 20 al 21% dal 17 settembre 2011). E richiamando proprio le indicazioni fornite in quella occasione, l’agenzia delle entrate, con un comunicato stampa diffuso ieri sera (riprodotto mel box a fianco), ha chiarito che qualora gli operatori non siano in grado, per difficoltà tecniche di adeguamento dei programmi di fatturazione o dei misuratori fiscali, di applicare la nuova aliquota, potranno regolarizzare successivamente l’imposta, senza applicazione di sanzioni se le correzioni vengono effettuate entro le scadenze individuate nel comunicato stesso.
Guardando agli altri paesi dell’Ue, l’innalzamento dell’aliquota al 22% porta a tre punti lo “spread” con la Germania (ferma al 19%) e a 2,4 con la Francia (19,6%), ci fa superare di misura la Spagna (21%) ed avvicinare alla Grecia (23%). La nuova aliquota risulta superiore, seppure di poco, alla media europea (21,33%, considerando anche l’aliquota regionale austriaca), in un quadro complessivo che resta caratterizzato da una forbice amplissima: dai livelli più bassi di Lussemburgo (15%), Malta e Cipro (18%) al 25% di diversi paesi. Su tutti svetta comunque l’Ungheria con il 27%.
L’aumento di oggi provocherà immediate ricadute sui prezzi dei moltissimi beni e servizi soggetti all’aliquota ordinaria: dagli elettrodomestici ai carburanti, dai servizi alla persona ai mobili, dalle autovetture alle telecomunicazioni. Si salvano invece i prodotti che compongono il “paniere” dei beni e servizi assoggettati ad imposizione ridotta del 4% (generi alimentari di prima necessità, libri e giornali, prima casa, ecc.) ovvero del 10% (energia elettrica per uso domestico, trasporti di persone, ristrutturazioni edilizie, ristoranti e alberghi, ecc.).