14 Maggio 2025, mercoledì
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Scontro tra poteri: Mantovano accusa la magistratura di minare la sovranità popolare

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio punta il dito contro i giudici: “Interpretazioni arbitrarie delle norme costituzionali, ostacolano le leggi votate dal Parlamento”. Ma il vero interrogativo resta: se il governo è così sicuro di rappresentare il volere degli italiani, perché non sfidare il giudizio popolare con un referendum?

Nel cuore del dibattito politico italiano si accende un nuovo fronte di tensione tra potere legislativo e potere giudiziario. Il sottosegretario Alfredo Mantovano, figura chiave del governo Meloni, rompe il silenzio e lancia un attacco diretto e senza troppi giri di parole alla magistratura italiana. Il casus belli? Le recenti sentenze che hanno messo in discussione la legittimità del contestatissimo Protocollo Italia-Albania sui migranti.

Un’intesa fortemente voluta dall’esecutivo per esternalizzare parte della gestione dell’immigrazione, ma che ha sollevato numerose perplessità nei tribunali, innescando un serrato confronto istituzionale. Per Mantovano, però, non si tratta di semplici divergenze giuridiche, bensì di un’ingerenza sistemica e, in fondo, politica: “Il tema della giurisprudenza creativa è ormai diffuso in tutte le giurisdizioni – ha dichiarato – con richiami a fonti internazionali ed europee che vengono interpretate in modo estensivo, se non addirittura arbitrario, rispetto al dettato costituzionale”.

Una critica ampia, che va oltre il caso specifico

Il messaggio è chiaro: secondo Mantovano, i giudici si starebbero ritagliando un ruolo che spetta, o dovrebbe spettare, solo al Parlamento. “C’è una tendenza costante delle corti a negare spazi regolativi al legislatore, erodendo progressivamente lo spazio della sovranità popolare”, insiste il sottosegretario, portando come esempio “le leggi sull’immigrazione, troppo spesso disapplicate o svuotate di significato dalle aule giudiziarie”.

Non è un caso che le sue parole arrivino in un momento in cui le tensioni sull’equilibrio tra i poteri dello Stato sono sempre più evidenti. L’idea di un diritto “fluido”, che si adatta alla lettura delle corti piuttosto che al voto parlamentare, viene bollata come una minaccia alla “tenuta repubblicana”, più che come una garanzia di tutela dei diritti fondamentali.

Il doppio gioco dell’Unione Europea

Nel mirino c’è anche l’Europa. Non come soggetto da combattere, precisa Mantovano, ma come entità con cui rapportarsi in modo più selettivo: “Non vogliamo delegittimare l’Unione, ma far sì che la nostra Repubblica continui a preservare il proprio fondamento”. Il sottinteso è forte: la sovranità nazionale viene percepita come sotto attacco, sia da Bruxelles che da alcuni settori della magistratura.

La domanda che aleggia: se davvero parlate a nome del popolo, perché non ascoltarlo?

Eppure, al netto dei toni forti e delle accuse pesanti, resta una domanda sospesa, che non pochi osservatori si pongono: se il governo Meloni e i suoi esponenti sono così convinti di interpretare la volontà del popolo italiano, perché non trasformare questa battaglia in un confronto diretto con l’elettorato? Un referendum su temi cruciali come la gestione dell’immigrazione, il rapporto con la magistratura o i vincoli europei sarebbe una via chiara, democratica, e perfettamente coerente con l’appello alla sovranità popolare.

Oppure, si teme che la voce del popolo – invocata a gran voce nei palazzi – possa suonare meno armonica di quanto si immagini? Se davvero la maggioranza è così salda, quale migliore occasione per metterla alla prova?

Per ora, il governo preferisce puntare il dito, ma la sfida del consenso – quello vero, diretto, incontestabile – resta sullo sfondo. In attesa che qualcuno abbia il coraggio di raccoglierla.

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