26 Aprile 2024, venerdì
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Come funziona il credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo?

Tra i crediti di imposta riferibili alle imprese, è possibile soffermarsi su quello riconosciuto per gli investimenti in ricerca e sviluppo, sulle sue peculiarità e sulle principali differenze con quello accordato per altri investimenti d’impresa. Circa le modalità di fruizione del credito d’imposta R&S, l’art. 3, c. 8 D.L. 145/2013 prescrive che esso sia utilizzabile in via esclusiva mediante compensazione, ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 241/1997. Non configurandosi, dunque, la legittimazione alla richiesta di rimborso, il credito, in astratto, non può essere ceduto ai sensi dell’art. 43-bis D.P.R. 602/1973.

La sua fruizione è stata esaminata dall’Agenzia delle Entrate, mediante la risposta ad interpello n. 72/2019, secondo cui “il fruitore del credito da ricerca e sviluppo coincide con l’effettivo beneficiario dell’agevolazione, ossia con colui che effettivamente ha sostenuto la spesa”. A tal proposito, diversi documenti di prassi hanno affermato la non trasferibilità dei crediti d’imposta di natura similare a quello in argomento in forza della natura soggettiva dei medesimi: essi, infatti, maturano esclusivamente in capo ai soggetti che effettuano l’investimento e non possono essere trasferiti a soggetti terzi per effetto di atti realizzativi. Il rinvio contenuto nel medesimo art. 43-bis alle prescrizioni di cui agli artt. 69 e 70, R.D. 2440/1923, ne esclude, fattualmente, l’autonoma riconduzione ai crediti d’imposta che non possono essere oggetto di rimborso. Del pari, il medesimo art. 69, nello statuire l’obbligo di notifica delle cessioni allo Stato, subordina le medesime ai soli casi “in cui sono ammesse dalla legge”. Il naturale fruitore del credito R&S coincide, infatti, con l’effettivo beneficiario dell’agevolazione, ossia con colui che effettivamente ha sostenuto la spesa.
Solamente nel caso in cui l’investimento sostenuto possa essere inequivocabilmente e indissolubilmente ancorato all’azienda, è possibile configurarne il trasferimento.
Il credito di ricerca e sviluppo appare dunque cosa diversa dall’acquisto dei beni strumentali 4.0. In tale ultimo caso, ad esempio, oltre alle varie controindicazioni, vi è un ulteriore elemento rafforzativo caratterizzato da un periodo di osservazione sugli acquisti. Le motivazioni sono varie: che ci sia stato effettivamente l’acquisto a titolo oneroso del bene, che esso sia in funzione presso l’impresa oppure che sia stato trasferito con l’azienda originariamente comprendente il bene. È ragionevole pensare che la sorveglianza sia un deterrente per evitare che vi siano società che acquistano beni in maniera seriale e poi li rivendano con sconti, trattenendo ed utilizzando il credito d’imposta, la qual cosa rende la fattispecie diversa da quella inquadrabile nell’ambito dei crediti d’imposta da R&S.
In merito a questi ultimi, il Tribunale di Roma, sezione XIV fallimentare, respingendo un piano di concordato preventivo che prevedeva la cessione di un ramo d’azienda comprendente un credito d’imposta R&S, ha stabilito, con decreto 13.01.2022, quanto segue.
È inammissibile la cessione del credito d’imposta derivante dalla attività di ricerca e sviluppo, ancorché inserito all’interno di un apposito ramo d’azienda, allorquando la sua identificazione risulti di difficile configurazione quale reale e concreto complesso di beni e fattori organizzati tali da sostanziare un plesso oggetto di una procedura competitiva di vendita. Il Tribunale di Roma sembra soffermarsi sulla astratta possibilità di una cessione del ramo contenente il credito afferente all’attività di ricerca e sviluppo, a condizione però che detto ramo non sia passibile di censure tali per cui sia “improbabile, o quantomeno difficile, configurare un complesso di beni e fattori organizzati per la produzione ai fini della conformazione di un ramo d’azienda oggetto di una procedura competitiva di vendita”.

Le conclusioni sono nel senso che possono emergere criticità circa l’identificazione di un tale cespite in determinate condizioni.
Si pensi, ad esempio, alle fattispecie, piuttosto comuni a dire il vero, in cui il credito è stato generato con mezzi e beni di terzi, legittimamente concessi, o con dipendenti poi dimessisi o licenziatisi.
Secondo i giudici appare dunque non praticabile promuovere un qualsivoglia trasferimento del diritto di credito d’imposta allorquando il dante causa non possegga più, nel proprio attivo patrimoniale, gli elementi che hanno concorso a comporre naturalmente il ramo e a generare il credito, oppure quando questo, a differenza di quanto avviene per i beni afferenti ad un complesso organizzato, non sia concretamente e oggettivamente individuabile ed identificabile all’interno del ramo d’azienda trasferito.

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