10 Maggio 2024, venerdì
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LA SOCIETÀ CHE SCEGLIE I DIRITTI

A cura di Giuseppe Cascella

Il carcere nasce per tenere i poveri ai margini…..

La povertà, per chi è ristretto nelle carceri italiane, è l’elemento caratterizzante della distanza che li separa dal resto della società. Ed è una delle cose di cui tenere conto quando parliamo della prigione. «Il carcere nasce verso la fine del 1500 per i poveri, non per i reati». «Nasce per tenere ai margini della società i poveri. Nel 1700 a Napoli fu costruito il  Real Albergo dei Poveri che diventò una prigione: prendevano tutti quelli che facevano accattonaggio e piccoli furti e li mettevano lì. Il carcere nasce per togliere dalla società le persone che davano fastidio». E così continua ad esistere, nel totale disinteresse o, nel peggiore dei casi, dell’odio nei confronti di chi è detenuto da parte dei liberi che non hanno nessuna voglia di approfondire la questione. «La vendetta fa parte della nostra storia umana». «Ci fu qualcuno, dicono che fosse Dio, che quando Caino uccise Abele disse “chiunque tocchi Caino se la dovrà vedere con me”».

Restituire 

il danno alle vittime e dignità alla persona

Qualsiasi soggetto che ha compiuto un reato, indipendentemente dal reato, se non è pericoloso, non ha nessun senso che venga privato della libertà. Intendiamo non pericoloso nel senso che non può fare del male».
«Io non dico che deve essere immediatamente libero»,  «Ma dopo un lasso di tempo può tornare in libertà. Se lasci una persona per tanti anni a pagare con il carcere lo sollevi dalle responsabilità. Ma una persona, che abbia fatto del male o meno, deve avere responsabilità. Allora quella condanna la metti in atto in libertà, in modo che possa restituire il danno alle vittime. E dignità alla persona».
Ma come si fa, in pratica, a restituire il danno arrecato? «Se è un danno materiale la restituzione può avvenire attraverso il lavoro, le attività. Se però è un danno umano, uno ha ucciso e non può restituire la vita, ci può essere un percorso di restituzione alla società».

La prigione umilia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea la mancanza di responsabilità verso il proprio comportamento e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano. È importante allora che si pensi a una sua sostituzione con forme diverse di gestione degli illeciti. «Le carceri che abbiamo noi sono luoghi disumani, che non sono stati fatti per la rieducazione ma per l’afflittività».«Hai fatto del male e ti restituisco un momento in cui devi star male a tua volta». La conformazione delle carceri, in qualche modo, è paradossale. «La cosa emblematica è che le carceri sono molto grandi, ci sono corridoi lunghissimi, spazi mostruosi e i luoghi dove vivono le persone sono buchi di tre metri» riflette.

«Dobbiamo tenere conto che ci sono quei soggetti per i quali non è possibile tornare in libertà. Ci sono soggetti che non vogliono cambiare e sono pericolosi. O hanno problemi di natura psichiatrica, come i serial killer, che se tornano in libertà riproducono le dinamiche che li hanno portati a delinquere. Queste persone non possono vivere dentro un buco tutta la vita: è disumano. Bisogna ripensare completamente gli spazi della non libertà: devono dare la possibilità di vivere come e in altri posti e di muoversi. E il tempo che i detenuti trascorrono in carcere deve venire usato per aiutare le persone a riscattarsi e in modo che possano dare dei benefici restitutori alla libertà». «E nel momento in cui un soggetto non è pericoloso rientra in casa sua, entra in un programma sociale con una serie di attività si restituzione del danno attraverso il lavoro e altre cose indicate dal programma» continua.

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