29 Marzo 2024, venerdì
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Torture e crudeltà al carcere di Sollicciano: misure cautelari per agenti penitenziari

Torture e crudeltà al carcere di Sollicciano: misure cautelari per agenti penitenziari 

Trattamento inumano, degradante per la dignità”. E’ una delle frasi più ricorrenti nelle 80 pagine dell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, Federico Zampaoli, con cui si ordina l’arresto di tre dei dieci agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Sollicciano, accusati di tortura per due episodi avvenuti nei confronti di due detenuti nel 2018 e nel 2020.

L’inchiesta della Procura di Firenze, coordinata dal pubblico ministero Christine Von Borries, ha fatto emergere una fotografia agghiacciante di quanto è accaduto, e che speriamo non accada più, fino a qualche mese fa tra le mura del carcere fiorentino.

TRE ARRESTATI – Una squadretta, con a capo una donna: l’ispettrice Elena Viligiardi, 41enne fiorentina, da ieri mattina agli arresti domiciliari (il pm aveva chiesto la custodia cautelare in carcere) con i colleghi Luciano Sarno, 56enne di Caserta, e Patrizio Ponzo, 33enne di Palestrina.

Secondo il gip del tribunale di Firenze, la squadretta di agenti di polizia penitenziaria si è resa responsabile di una serie di episodi gravissimi.

Insieme ai tre, sono indagati per il reato di tortura anche gli agenti Massimiliano Bove, 49enne di Empoli, Francesco Sbordone, 32enne di Caserta, Caterina Raunich, 41enne di Montelupo Fiorentino, Michele Varone, 30enne di Caserta, Marco Mescolini, 39enne di Orvieto, Piercarlo Minotti, 48enne di Roma, e Luigi Di Martino, 33enne di Scafati. Tutti in servizio al reparto penale della casa circondariale di Sollicciano. Per loro è stata disposta l’interdizione per un anno dalla professione e l’obbligo di dimora nel comune di residenza. Per tutti gli indagati il Dap, dipartimento amministrazione penitenziaria, ha disposto la sospensione dal servizio.

Una vicenda agghiacciante, che non lascia spazio all’immaginazione, dove i diritti civili sono stati violati. Dove l’azione dell’uomo si è spinta fino alla crudele violenza fisica e psicologica con l’unico intento di punire e umiliare i detenuti.

Un comportamento gravissimo, senza attenuanti, che già in fase di indagine preliminare ha acquisito inequivocabili elementi di prova a carico degli indagati.

GRAVISSIMI INDIZI DI COLPEVOLEZZA – “Gravissimi indizi di colpevolezza” a carico degli agenti autori di due violenti pestaggi. Uno risalente al 2018, l’altro a pochi mesi fa, aprile 2020. Proprio mentre tutta Italia era chiusa in casa per il lockdown a causa dell’emergenza coronavirus, dentro il carcere di Sollicciano, nell’arco di un’ora e mezzo, si consumavano molti reati e a commetterli erano agenti di Polizia Penitenziaria.

IL CAPO E’ DONNA – Secondo l’accusa, l’istigatrice delle aggressioni è l’ispettrice Elisa Vigiliardi. Dagli atti emerge come bastasse “un cenno col capo di assenso” dell’ispettrice per scatenare la furia violenta degli agenti.

E’ stato il comandante della penitenziaria che ha dato il via all’inchiesta, comunicando alla Procura della Repubblica la notizia di reato. Un’annotazione ai magistrati, dove esprimeva tutte le contraddizioni tra il racconto di un detenuto, che sosteneva di essere violentemente aggredito senza motivo, e il verbale di intervento di otto agenti di polizia penitenziaria che denunciavano di aver subito un’aggressione da parte del detenuto.

LA STORIA DI MOHAMED – Comincia così la storia di Mohamed, cittadino marocchino ultracinquantenne che sta scontando una condanna definitiva per spaccio di droga. 

 Mohamed è la persona offesa e secondo pm e gip è stato vittima di tortura durante il suo periodo di detenzione nel carcere di Sollicciano.

Il giudice ricostruisce quello che è accaduto attraverso testimonianze, intercettazioni ambientali e telefoniche, video di sorveglianza, referti medici e consulenze medico legali. Proprio le dichiarazioni del detenuto, secondo il giudice, sono avvalorate da molteplici prove. E le parole di Mohamed sono da ritenersi “coerenti, costanti” e assolutamente “credibili e attendibili”.

Al contrario pesano come macigni sugli agenti di polizia penitenziaria i verbali redatti per denunciare a loro volta le aggressioni dei detenuti e le azioni di contenimento che avevano posto in essere per fermare la presunta violenza.

IL PESTAGGIO – E’ il 27 aprile 2020, sono circa le 12.50. Mohamed prima di rientrare nella sua cella chiede ad un agente di poter chiamare i suoi parenti in Francia. La risposta è negativa. Arriva il capoposto che ha sentito la conversazione. “Che cazzo fai qui” dice a Mohamed. “Porta via quel figlio di puttana” ordina al collega. Mohamed chiede il motivo per cui viene trattato così, ma il capoposto (assistente Luciano Sarno) lo “minaccia gravemente” scrive il giudice. “Ti facciamo il culo, ti massacriamo, qui non siamo come quelli della giudiziaria” urla al detenuto che gli risponde, “fammi un pomp**o, non puoi farmi niente se non ammazzarmi”. Mohamed allora viene riportato nella sua cella.

LA RICOSTRUZIONE DEL GIUDICE – Poi, ricostruisce il giudice, “alle 13.23 circa, quando tutti i detenuti venivano fatti andare all’ora d’aria, un agente portava Mohamed nell’Ufficio in uso all’Ispettrice Elena Viligiardi rimanendo fuori nell’atrio antistante”.

Nell’ufficio, scrive il giudice, “erano presenti l’ispettrice Elena Viligiardi, la vice ispettrice Caterina Raunich, il vice ispettore Massimiliano Bove, l’assistente Luciano Sarno, gli agenti Patrizio Ponzo, Francesco Sbordone, Marco Mescolini, Michele Varone e Luigi Di Martino e, prima che il detenuto potesse iniziare a spiegare cosa era accaduto e perché avesse reagito così alle provocazioni e minacce di Sarno” lo stesso “gli sferrava un pugno colpendolo al collo e dicendogli “fi facciamo vedere come ti faccio un pompino”, a quel punto, Ponzo, Bove, Sbordone, Mescolini, Varone, Di Martino e ancora Sarno, lo colpivano con vari pugni al collo, al corpo, al costato destro e sulla parte destra della testa finché Mohamed cadeva in avanti posando le mani sulla scrivania dell’Ispettrice Viligiardi, la quale si alzava in piedi e andava all’angolo della stanza alla sinistra del detenuto continuando ad osservare la scena e, una volta caduto a terra, continuavano a colpirlo con pugni, schiaffi e calci nelle costole, sotto il braccio, allo stomaco e alla pancia nonché alla schiena, così impedendogli di respirare, gli storcevano il braccio destro dietro la schiena mentre l’altro rimaneva incastrato sotto al suo corpo , due persone montavano sulla sua schiena mentre gli altri continuavano a tirargli calci, uno gli metteva un piede sul collo – in particolare oltre a tali condotte, Ponzo gli sferrava un pugno sul lato destro della schiena, Di Martino gli tirava vari schiaffi al volto, Mescolini gli saliva con entrambi i piedi sulla schiena – e infine gli tiravano fuori il braccio che era sotto il suo corpo, ammanettandogli i polsi dietro alla schiena, lo tiravano su in piedi tirandolo per entrambi i polsi e gli sferravano altri due o tre pugni facendolo sanguinare dal naso e dalle labbra e infine lo portavano prima presso una cella della sezione isolamento, poi nel locale infermeria e poi ancora nella cella della sezione isolamento”.

UMILIAZIONI E CRUDELTA’ – Mohamed durante il pestaggio si era fatto la pipì addosso “e veniva lasciato con i vestiti bagnati anche quando veniva portato nella cella di isolamento. Quando due agenti rimanevano soli con lui dentro alla cella lo facevano spogliare e rimanere nudo di fronte a loro per circa 2/3 minuti dicendogli “ecco la fine di chi vuole fare il duro” e poi lo facevano rivestire con gli stessi vestiti e andare in infermeria”.

Un gesto crudele, come rimarca il giudice che sottolinea come “la condotta di lasciare nuda la persona offesa risulta chiaramente indicativa di un agire con crudeltà nei confronti di persona, peraltro bisognosa di cure”.

E aggiunge “ancora, espressivo di crudeltà risulta anche la circostanza che la persona offesa sia stata lasciata con i vestiti sporchi fino al successivo cambio di turno”.

RISCONTRI E PROVE – Racconti che lasciano senza fiato. Anche il giudice. Quando all’interno del fascicolo elenca i numerosissimi riscontri sul racconto del detenuto. Conferme che incredibilmente arrivano proprio dagli stessi agenti indagati e intercettati. Come quando due agenti puliscono il sangue di Mohamed per cancellare le tracce della furiosa aggressione. Tutto registrato.

LE VISITE MEDICHE – Ma dopo quel pestaggio cosa succede a Mohamed? Viene lasciato per sette giorni, nel reparto transiti del carcere. Subito chiede di vedere un medico che lo visita. “Il dottore – scrive il gip – con certificato medico del 27 Aprile 2020 ore 14:40 dava atto che il detenuto presentava una piccola lesione lacera alla guancia sinistra, un lieve edema palpebrale sinistro, dolorabilità alla palpazione senza ecchimosi. Precisando altresì “Esame obiettivo addominale difficilmente eseguibile per la non collaborazione del detenuto, esame obiettivo torace norma trasmesso, emitoraci norma espansibili, No ecchimosi”. Inoltre nello stesso certificato il medico dava atto che il detenuto risultava molto agitato e che riferiva che le lesioni corporee gli erano state cagionate al reparto di provenienza da parte del personale della polizia penitenziaria durante l’allontanamento del reparto. A quel punto il medico emetteva il certificato medico di idoneità al mantenimento dell’isolamento”.

IN OSPEDALE – Ma i dolori dell’uomo persistono insistenti e una settimana dopo, il 4 maggio, Mohamed viene trasferito al pronto soccorso da una dottoressa del carcere, diversa dal primo medico che lo aveva visitato, proprio per “escludere l’eventuale presenza di fratture costali, lamentando il detenuto la persistenza di dolore esacerbato dalla digitopressione e dagli atti respiratori”.

L’esito degli esami a cui si è sottoposto Mohamed è chiaro, purtroppo.“Prognosi di 20 gg. per frattura VI – VII costa dx. ernia omentale con indicazione chirurgica”.

Una violenza pura e crudele. Come si evince dalla consulenza medico legale richiesta dal pubblico ministero. Secondo i periti le lesioni su Mohamed sono “essenzialmente di natura contusiva” e “siano state determinate da un’unica azione contusiva diretta applicata da corpo contundente di medio peso specifico dotato di una estensione limitata (es. pugno o calcio)”.

Anzi, se Mohamed avesse subito un’azione di contenimento come verbalizzato e denunciato dagli agenti arrestati e indagati, secondo i medici, avrebbe dovuto subire “lesioni traumatiche multidistrettuali, coinvolto un maggior numero di archi costai e comportato ulteriore concomitante lesività contusiva”.

E invece a Mohamed hanno rotto due costole, lo hanno lasciato nella sua urina, lo hanno fatto spogliare nudo e poi deriso.

Nelle intercettazioni gli agenti si preoccupano di quello che si vede nei video acquisiti dal comandante. Si preoccupano di concordare versioni comuni da fornire agli investigatori, tentano di inquinare prove. Si preoccupano di non parlare al telefono e di aggiustare ogni possibile dichiarazione.

Chi legge, e chi scrive, si preoccupa di uno Stato di diritto che viene messo in discussione da privazioni, abusi e torture che forse, da oggi, avranno speranza di avere giustizia.

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