26 Aprile 2024, venerdì
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Corea: Trump-Kim, la Cina rivendica un ruolo nella pace

Giorni fa, il Global Times, quotidiano in lingua inglese di proprietà del Renmin Ribao (il quotidiano del Popolo, People’s Daily, organo ufficiale del Partito comunista cinese), ha pubblicato un editoriale dal titolo Is China being marginalized on Korean Peninsula?”. Nell’articolo, in vista del Vertice a Singapore il 12 giugno tra il presidente Usa Donald Trump e il leader nord-coreano Kim Jong-un, il giornale nota come Pechino sia da sempre un attore fondamentale nella ricerca della pacenella penisola. La Cina è firmataria dell’armistizio che mise fine alla guerra sul 38o parallelo nel 1953 (mentre non lo è la Corea del Sud, visto che gli Usa firmarono “per tutti”).

Nonostante questo, lamenta il giornale, la Cina viene chiamata in causa come correa ogni qualvolta c’è un dietrofront sulla via della pace da parte di Pyongyang, ma non le viene riconosciuto il giusto peso nella costruzione della pace. “Senza gli sforzi di Pechino – scrive il Global Times -, la situazione nella penisola sarebbe probabilmente diventata ingestibile lo scorso anno e le interazioni tra Pyongyang e Washington sarebbero state più fragili di quanto non lo siano ora”. Per il Global Times, “la Cina è una forza trainante fondamentale del progresso della penisola. Da un lato, la forza e la posizione geopolitica della Cina sono evidenti a tutti. Dall’altro, la Corea del Nord è un paese completamente indipendente. La Cina non ha un’influenza decisiva sugli affari della penisola, ma senza la Cina le decisioni importanti nella regione difficilmente possono prendere forma o essere attuate in modo stabile”.

L’influenza di Pechino e come è stata esercitata
L’organo del partito comunista cinese non dice inesattezze. Se una pace è possibile nell’area, si deve anche all’influenza di Pechino. Che la Corea del Nord sia dipendente dalla Cina è fatto ovvio: Pechino fornisce a Pyongyang la maggior parte di cibo ed energia, rappresentando oltre il 90% del volume totale degli scambi nord-coreani.

Kim Jong-un è andato a Pechino nel suo primo viaggio all’estero lo scorso marzo e ci è ritornato a maggio. In entrambe le occasioni (avvenute tra il primo annuncio dell’incontro tra il leader nordcoreano e Trump e subito dopo l’incontro tra Kim e il presidente sudcoreano Moon), è ovvio che Xi Jinping sia stato messo al corrente della situazione e abbia dato consigli, se non indicazioni, al suo interlocutore.

Gli interessi convergenti alla pace di Cina e Usa
Come molti osservatori hanno fatto notare, sia Cina che Stati Uniti hanno interesse a che sia raggiunta la pace nella penisola coreana, anche se per ragioni diverse. Trump vuole rafforzare la posizione di influenza americana nello scacchiere asiatico, dove, nonostante il suo predecessore avesse messo in campo il progetto “rebalance to Asia” (a dire il vero più indirizzato verso il Sud-Est asiatico che verso l’Estremo Oriente), poco è stato fatto; e così, in assenza di altri attori, Pechino ha aumentato la sua influenza. E, nel contempo, Trump punta a una completa denuclearizzazione a Nord del 38o parallelo, in cambio di aiuti.

La Cina, che in più di un’occasione non solo ha esercitato la sua influenza su Pyongyang ma ha anche aderito alle sanzioni internazionali dopo le minacce e i test nordcoreani, tende a una normalizzazione della penisola perché la sua maggiore preoccupazione è rappresentata dai milioni di migranti che le arriverebbero dalla Corea del Nord in caso di guerra – cosa che già succede ora, nonostante barriere e filo spinato al confine -.

Una Corea del Nord pacificata, in via di sviluppo e poi ricca, rappresenterebbe un bacino notevole per le esportazioni e i commerci cinesi, che finora importano soprattutto carbone da Pyongyang, attraverso il lungo confine tra i due Paesi già attraversato da vie commerciali privilegiate. Pechino, inoltre, non ha interesse a una sempre maggiore presenza di soldati americani nell’area. Tra Giappone, Corea del Sud e l’isola di Guam, ci sono oltre 65.000 soldati a stelle e strisce, oltre alla presenza di armamenti e del sofisticato sistema antimissilistico Thaad, avversato da Pechino. Una guerra nell’area rappresenterebbe per gli Usa un collasso di vite umane ed economico (secondo un accordo firmato con Pyongyang, Pechino dovrebbe correre al fianco dell’alleato) e destabilizzerebbe l’intera rete commerciale (ma anche di influenza socio economica e soprattutto geopolitica) che Pechino sta mettendo in essere con la sua Belt and Road Initiative.

Il nodo della presenza militare americana
Gli Usa, anche nelle ultime ore, hanno ribadito che a Singapore il 12 giugno non si tratterà assolutamente sulla riduzione della presenza dei soldati americani nell’area. Ma è indubbio che su questo tema Pechino, che, ricordiamo, dovrà firmare a fianco di Pyongyang l’eventuale trattato di pace che metterebbe fine al più lungo armistizio della storia, vorrà dire la sua. Anche nella Sud Corea e in Giappone aumentano i movimenti che chiedono di affrancarsi dagli Usa, in caso di cessazione della minaccia nord coreana.

La pacificazione coreana, la minore presenza americana in termini di soldati, aumenterebbe di certo l’influenza non solo geopolitica, ma commerciale di Pechino nell’area. Non dimentichiamoci che la Cina è stato il principale partner commerciale della Corea del Sud nel 2017 ed è la destinazione di un quarto delle esportazioni di Seul, mentre la Corea del Sud è il quarto partner commerciale cinese.

Come detto, Washington punta a una completa denuclearizzazione dell’area in cambio di aiuti a Pyongyang, mentre Pechino, attraverso la ripresa dei colloqui a sei tra Cina, Usa, Sud e Nord Corea, Giappone e Russia, punta sulla cessazione di ogni attività militare americana nell’area in cambio della denuclearizzazione. E la Cina, per ottenere questo, eserciterà sicuramente tutto il suo potere sul governo al di sopra del 38o parallelo nei colloqui di Singapore dimostrando, ancora una volta, di essere diventato un attore fondamentale sullo scacchiere internazionale, dal quale non si può prescindere, non solo in termini economici, ma anche geopolitici.

a cura di Vincenzo Catapano

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