19 Aprile 2024, venerdì
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Secondo Friedman, il più andreottiano è D’Alema

Non ci posso credere. Dicono che Matteo Renzi, per comporre la squadra di governo, abbia incontrato in gran segreto anche Massimo D’Alema. Ma sarà vero? Se lo fosse, sarebbe la prova provata che Renzi è un bugiardo incallito, uno che dice una cosa e poi ne fa un’altra, perfino più bugiardo di Silvio Berlusconi, che a volte – a furia di ripeterle – dà l’impressione di credere davvero alle proprie bugie. Nel libro di Alan Friedman, le cui vendite – secondo la pubblicità – aumentano di 50 mila copie al giorno (anche qui: verità o bugia?), Renzi aveva giurato che si sarebbe impegnato allo spasimo per ammazzare il Gattopardo, simbolo della vecchia politica italiana, quella sempre pronta a cambiare tutto affinché nulla cambi. E sapete chi è il politico italiano  che, nel libro, viene indicato come il vero Gattopardo di oggi? Se pensate a Berlusconi, siete fuori strada. Per Friedman, il Gattopardo da fare fuori è Massimo D’Alema, indicato come il peggio del peggio sulla scena politica degli ultimi venti anni. È lui il vero conservatore che si è sempre opposto alle grandi riforme di cui l’Italia ha bisogno, sostiene Friedman. È lui, un comunista mai pentito, che, più di tutti, ha ostacolato i governi e i premier (compresi quelli di sinistra) che volevano cambiare qualcosa per arginare la spesa pubblica e fermare la corsa dell’Italia verso il baratro. È lui che ha impedito l’elezione di un «vero riformatore» come Romano Prodi al Quirinale. È lui il vero Gattopardo che ha sempre  fatto finta di appoggiare qualche riforma, in realtà per sabotarla meglio, e conservare le pessime leggi di spesa partorite dall’inciucio catto-comunista degli anni Ottanta. Per questo, Friedman arriva a definire D’Alema il vero erede di Giulio Andreotti, che del catto-comunismo è stato l’artefice. Un’offesa mortale, per uno come D’Alema, da sempre così orgoglioso della propria identità di sinistra. Il capitolo che Friedman gli dedica nel libro è uno spasso. Si intitola «Lo spumante di D’Alema», ed è il racconto di una visita dell’autore al casale con vigna in Umbria, dove l’ex premier Pd produce uno spumante rosé, di cui dice faville: «È inserito tra i 320 migliori del mondo, ed è entrato addirittura in classifica nel suo primo anno di produzione». Dai 16 ettari della sua vigna, D’Alema ricava «la ragguardevole cifra» di 35 mila bottiglie di spumante: «Se l’azienda andrà bene, forse farò un po’ di soldi». Completato il giro dell’azienda, dopo avere ammirato una pianta di giuggiolo che costa 15 mila euro e un ulivo secolare che ne costa 1.500, Friedman annota: «Mi colpisce che a casa D’Alema si monetizza tutto». E dal colore passa alle domande politiche, incontrando però un muro di gomma su tutta la linea. Friedman chiede se la Cgil con il 54 per cento dei tesserati pensionati non debba essere considerata una forza conservatrice. E D’Alema? «Non risponde. Ignora la domanda. Glissa. Si mette a recitare la storia d’Italia dal 1861». Non va meglio  quando gli chiede se è vero che, nel 1998,  fu un errore da parte sua prendere il posto di Prodi a Palazzo Chigi. D’Alema diventa «una tigre infuriata». Volano parole grosse: «Menzogna! Complotto! Odio!». In quell’istante, annota l’autore, «D’Alema mi appare come una specie di Belzebù Bis, un Andreotti redivivus, un Andreotti reincarnato nel corpo di un vignaiolo in Umbria. Il vero erede di Andreotti è Massimo D’Alema». Ancora: «A questi politici di vecchio stampo puoi fare qualsiasi domanda. Non arrossiscono mai. Si agitano raramente. Sorridono sempre. Ma riescono a parlare così a lungo eppure a dire così poco, che alla fine ti chiedi cos’hanno detto, perché del loro discorso non si ricorda nulla. Sono sfuggenti i politici come D’Alema. Come Andreotti». L’intervista va avanti ancora per una decina di pagine, le domande toccano punti precisi, come la riforma federalista fatta dal centrosinistra che consegnò alle Regioni gli stessi poteri dello Stato su questioni strategiche per l’economia, come l’energia. D’Alema ammette che si è trattato di un errore, che ha creato «un danno gigantesco», e anche se lui era primo ministro – nota Friedman – «riesce a mettere le mani avanti», a scaricare su altri la responsabilità di quell’errore. E così avviene su altri punti, con acrobazie dialettiche che Friedman si diverte a raccontare. Per non danneggiare le vendite del libro,  ci fermiamo qui. Chi vuole proseguire in questa divertente lettura può farlo spendendo 18 euro, il prezzo del volume. Facciamo però uno strappo solo per il finale del capitolo, davvero imperdibile. Finita la chiacchierata, D’Alema accompagna l’ospite all’uscita e gli rivolge un complimento che lo prende un po’ in contropiede: «La leggo sull’Herald Tribune ogni giorno, e spesso sono d’accordo con quello che scrive. E io non so cosa dire. Devo informare D’Alema che non scrivo per l’International Herald Tribune da circa dieci anni, dal 2003? No. Mi limito a un semplice ‘Grazie, tanto’ e sorrido, saluto, salgo in macchina e parto».Ecco, se davvero Matteo Renzi ha consultato anche D’Alema per comporre la squadra del nuovo governo, non riesco a immaginare quale possa essere la reazione di Friedman, che l’aveva designato come l’unico politico in grado di ammazzare il Gattopardo.

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