Un urto improvviso, a una velocità che più o meno era di 60 km/h. E il cervello che si è come stirato, schizzando violentemente avanti e indietro nella scatola cranica. A Michael Schumacher è successo questo. E’ come se avesse avuto due black out che rischiano seriamente di lasciare il segno, sia sul piano cognitivo sia sul piano motorio.
Il casco gli ha salvato (forse) la vita: senza sarebbe certamente morto sul colpo. Ma non è bastato a impedire l’inevitabile: il trauma al cervello, e un movimento che lo ha come sfibrato. Perché il cervello naturalmente si muove nella scatola cranica ma è fissato alla base. Con l’urto improvviso si è stirato l’ancoraggio. Con che conseguenze? Difficile dirlo con esattezza.
Spiega Mario Pappagallo Sul Corriere della Sera:
“Le cellule dei neuroni sono sulla superficie, ma le loro «code» (assoni) sono come fili elettrici lunghissimi che vanno a comporre i lunghi nervi. «Ordini» e impulsi elettrici passano attraverso di loro, che però sono anche l’ancoraggio della massa cerebrale che galleggia. «In questo tipo di trauma, tipico dei pugilatori, il vero problema è il Dai (Diffuse axonal injury ), lo stiramento degli assoni che comporta anche la rottura dei capillari», spiega Maurizio Fornari, primario neurochirurgo dell’Istituto Humanitas di Milano-Rozzano.”
In questa fase il punto è lottare per tenere Schumacher in vita. E’ stato addormentato e il corpo viene tenuto in ipotermia (34-35 gradi) per limitare al massimo i danni.
Il punto è che Fornari è pessimista sul pieno recupero di Schumi. Se si salverà è difficile che torni quello di prima di quel maledetto urto contro la roccia:
Non esattamente quello di prima, anche se tutto andrà bene. Le condizioni di Schumacher, secondo il bollettino medico di Grenoble, sono «molto serie» a causa di «lesioni emorragiche bilaterali diffuse». Su questa base Fornari è pessimista. Nel cervello del sette volte campione del mondo di F1 è come se la luce si fosse spenta due volte, un primo blackout elettrico è stato ammortizzato, un secondo ha fatto scattare il salvavita. Ora il cervello è tenuto volutamente in blackout, poi si conteranno i danni. Dice Fornari: «Fondamentale è il tempo che occorre al recupero della funzione di vigilanza, che significa “vivere” autonomamente. Più tempo passerà in coma, più danni potrebbero esserci». E più danni hanno subito gli assoni stirandosi, più funzioni si perdono. Le prime a venir meno sono quelle ideative e cognitive, il rapportarsi con gli altri. Al risveglio sarà importante verificare se è collaborante: significa che chiuderà la mano alla richiesta di chiudere la mano. Buon segno: entra in rapporto. Il recupero delle funzioni sarà tanto lungo quante sono quelle compromesse dal trauma e dal tempo di «coma». E sempre che dal coma esca.