Il 2014 dell’Unione europea, Ue, deve segnare – dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – lo spartiacque tra il rigore e la crescita: “L’Unione corregga la rotta e promuova l’occupazione: siamo orgogliosi dei risanamenti dei conti, ma ci preoccupano recessione e carenza di lavoro”. E il presidente della Commissione europea José Barroso mescola ottimismo (“l’economia migliorerà”) e timori davanti all’avanzata dei populismi, invitando l’Italia a tenere la barra sulle riforme, “bene il deficit sotto il 3%, ma il debito è troppo alto”.
Nello snodo tra rigore e crescita, l’Italia ha un ruolo speciale, perché dal 1° luglio al 31 dicembre assumerà la presidenza di turno semestrale del Consiglio dell’Ue.
Sarà una riunione dell’Eurogruppo, lunedì 7 luglio, seguita da una dell’Ecofin, martedì 8, ad aprire il semestre italiano. I momenti clou saranno i vertici europei del 23 e 24 ottobre e del 18 e 19 dicembre, entrambi a Bruxelles.
Queste sono indicazioni ricavate dalla bozza di calendario della presidenza, già trasmessa a Bruxelles e ancora soggetta a variazioni e integrazioni. Prevede la consueta teoria di riunioni ministeriali formali e informali nelle varie formazioni, alcune con scadenza mensile – Affari generali, Esteri, Ecofin, Agricoltura, etc. – altre con scadenze più rarefatte.
Presidenza breve
Sarà una presidenza breve, come tutte quelle nel secondo semestre di ogni anno, ma densa di appuntamenti. Si calcolano più o meno 160 eventi da distribuire su 115 giorni utili circa, perché il mese di agosto e l’ultima decade di dicembre sono ‘a perdere’: decine di Consigli formali e una quindicina d’informali – una gran parte a Milano – oltre a riunioni di ogni genere, alcune delle quali ancora da fissare. C’è incertezza, ad esempio, sullo svolgimento, in autunno, delle Assise inter-parlamentari.
Nel semestre italiano saranno rarefatte le proposte della Commissione, perché è probabile che l’attuale si concentri più sul portare avanti i dossier già trasmessi al Consiglio e al Parlamento che sul lanciarne di nuovi. La nuova Commissione sarà troppo fresca di nomina per sfornare proposte proprie.
Dopo la riunione del 7 agosto, la prima a livello ministeriale del comitato di pilotaggio della presidenza, la preparazione del semestre prosegue con le riunioni, con ritmo quasi quindicinale, di un comitato della Presidenza del Consiglio guidato dal sottosegretario Filippo Patroni Griffi. Sono pure al lavoro gli sherpa dei ministri.
A Palazzo Chigi e al Dipartimento delle Politiche comunitarie, si assicura che, nella preparazione della presidenza, “non siamo in ritardo”. La Grecia, la cui presidenza inizia a giorni, ha distribuito solo da qualche settimana il suo programma, mentre l’Italia ha già diramato un calendario di massima delle riunioni.
Bisogna pure fare i conti con le disponibilità economiche: l’Italia ha finora stanziato, secondo buone fonti, 60 milioni di euro, tanti quanti la Lettonia che la seguirà e meno del Lussemburgo (80) che chiuderà il trittico delle presidenze aperto proprio dall’Italia.
Insidie istituzionali
Fra le priorità italiane troviamo il Mediterraneo e l’immigrazione, la lotta alla disoccupazione, il completamento dell’Unione bancaria. La presidenza italiana coinciderà con un momento particolare dell’Unione e delle sue istituzioni, tutte in fase di rinnovamento e/o di rodaggio. Il che condizionerà la possibilità di ‘fare maturare’ nel semestre dossier e decisioni.
Questa consapevolezza è per ora meno evidente nelle dichiarazioni politiche. Ci sarà da fare fronte alla crisi di fiducia tra i cittadini e l’Unione, che potrebbe trovare un riflesso nella partecipazione alle elezioni europee del maggio prossimo e nei risultati del voto. Bisognerà anche evitare che si creino tensioni e fratture fra le stesse istituzioni, ad esempio quando il Consiglio europeo dovrà designare il nuovo presidente della Commissione europea e il Parlamento europeo dovrà poi votarne l’investitura.
Nelle diatribe anche procedurali sulle nomine, c’è il rischio che venga meno il rapporto di fiducia Consiglio / Commissione, anche se una dialettica fra le istituzioni è fisiologica e se, su molti temi, ad esempio sul bilancio, c’è spesso stata in passato una sorta di alleanza Parlamento / Commissione contro il Consiglio.
Milan l’è on gran Milan
Di Milano, Enrico Letta vuole fare la capitale della presidenza di turno italiana del Consiglio. La città è già nella storia dell’integrazione europea, con il Vertice al Castello Sforzesco – giugno 1985 – voluto dall’allora premier Bettino Craxi e che, dopo quasi cinque anni di stasi legati al problema britannico, innescò il rilancio del progetto europeo.
Da allora, Milano non ha più avuto un ruolo da protagonista nell’Ue. Ora le riunioni informali si faranno a Milano, anche in un’ottica di lancio dell’Expo 2015, mentre quelle informali in varie località del paese.
L’Italia ha insistito che il vertice Ue-Asem, in programma a ottobre, si facesse a Milano e non, come previsto, a Bruxelles. Questo evento porterà nella città dell’Expo decine di delegazioni europee e, soprattutto, asiatiche, che di lì a sei mesi saranno protagoniste dell’esposizione universale, una Expo che l’Italia tende a presentare come ‘europea’, essendo l’unica a svolgersi nel territorio dell’Unione nell’ambito di un ventennio.
Ma per altre riunioni, più tecniche – l’Eurogruppo e l’Ecofin – o più di nicchia – l’agricoltura, l’ambiente, etc -, non è chiaro in che misura la scelta di Milano risulti vincente.
Il semestre in bianco
Il rischio di fondo è che, quasi a prescindere dalla volontà dell’Italia, il semestre vada in bianco, nonostante i propositivi di partenza siano buoni: priorità poche e chiare, obiettivi definiti e raggiungibili.
A Bruxelles, lo sanno bene, calendario alla mano. E pure a Roma lo sanno, quelli che conoscono scadenze e ritmi dell’Unione: il secondo semestre 2014 sarà “molto atipico”, cadrà dopo le elezioni di maggio e coinciderà con il rinnovo della Commissione europea e del presidente del Vertice. Con l’Assemblea in rodaggio e la Commissione in allestimento, ci sarà da gestire il valzer delle poltrone, se i giochi non saranno già stati fatti, il passaggio delle consegne e gli affari correnti. Salvo, naturalmente, crisi emergenti; o dossier aperti, come l’Unione bancaria, l’emigrazione, l’Ucraina.
Anche l’attività di rilancio dell’integrazione, cui quel che resta dell’Italia europeista tiene molto, potrà avere al massimo una funzione propedeutica a decisioni e iniziative che giungeranno a maturazione, se tutto filerà liscio, non prima del 2015.
Sento già qualcuno fremere: se gestiamo le nomine ci toccherà qualcosa di grosso. A dire il vero, non mi farei troppe illusioni: l’Italia ha già la presidenza della Bce con Mario Draghi; e ha in pista Franco Frattini per il posto di segretario generale dell’Alleanza atlantica – decisivo il Vertice Nato in Galles a settembre. Uno dice: non è un’istituzione europea. Vero, ma, se ci danno quello, mica ci tocca altro. Se non ce lo danno, magari ci siamo intanto bruciati il resto, ammesso che avessimo una chance.