Il certificatore certificava senza mai verificare, secondo i giudici: nello scandalo delle protesi mammarie esploso in Francia nel 2010 finisce per pagare il leader europeo dei controlli di qualità, la tedesca Tüv, condannata dal tribunale di Tolone a pagare una provvisionale da tremila euro ciascuna a più di 1600 donne e sei distributori delle protesi che erano imbottite con un gel non consentito dalle norme.
“Quest’azienda ha certificato le protesi per quindici anni, certificava che queste protesi non costituivano un rischio per la salute e non ne aveva mai nemmeno toccata una, non aveva mai fatto nemmeno un controllo a campione, hanno esternalizzato il loro lavoro a un’azienda che non era autorizzata a farlo”, dice l’avvocato di parte civile.
La difesa invece si dice scandalizzata da un verdetto che contraddice persino i giudici di Marsiglia, che stanno giudicando il produttore delle protesi:
“Questo verdetto contraddice gli elementi dell’istruttoria, contraddice anche le richieste del Pubblico Ministero, contraddice le conclusioni dei magistrati di Marsiglia, che dopo due anni d’inchiesta hanno concluso che TÜV è stata truffata dal produttore delle protesi. Penso che stiano solo cercando qualcuno che paghi”, dice l’avvocatessa, che ha poi preannunciato ricorso in appello.
Il fondatore dell’azienda produttrice, la PIP, non è solvibile: Jean-Claude Mas e quattro dirigenti sono a processo a Marsiglia, ma si sa che comunque non potranno pagare i danni. È per questo che le speranze delle vittime si rivolgono soprattutto all’azienda che certificava.