Faccio seguito all’articolo «Studi di settore, professionisti al palo» pubblicato sul suo giornale il 10 ottobre u.s. per testimoniare il rifiuto da parte di tutta la nostra categoria di Medici di medicina generale verso un sistema fiscale inefficiente, iniquo e incapace perfino di elaborare indicatori per il riconoscimento del regime premiale alla categoria dei professionisti.
Siamo ormai stufi di accettare passivamente i soprusi di uno Stato che continua a considerare, tutti e indistintamente, i contribuenti come evasori fiscali, che pretende di determinare, attraverso gli Studi di settore, i redditi in maniera forfettaria e che obbliga i medici di famiglia a trascurare, giocoforza, la propria attività, volta alla salvaguardia della salute pubblica, per interessarsi di materie fiscali al fine di non veder continuamente corroso il proprio potere di acquisto da questo meccanismo, ormai perverso, di imposizione fiscale.
Siamo, dunque, venuti a trovarci, nostro malgrado, in una condizione non ulteriormente sopportabile sul piano morale, oltre che insostenibile su quello economico, al punto che si è deciso di sottoporre al giudizio del Tar del Lazio l’applicabilità degli studi di settore alla nostra categoria, sul presupposto che :
a) quello dei Medici di medicina generale è un reddito certo e certificato dal Servizio sanitario nazionale e, come tale, non può essere frutto di presunzioni, più o meno qualificate (così come avviene per gli altri soggetti autonomi), a meno che non si voglia sostenere la prevalenza delle presunzioni sulla effettiva capacità contributiva;
b) i rapporti convenzionali tra i medici di medicina generale e le Asl «_hanno natura privatistica ad evidenza pubblica di rapporti di prestazioni d’opera professionale, svolta con i caratteri della parasubordinazione e che il medico convenzionato con il Ssn_ svolge i predetti compiti in esecuzione di un vero e proprio rapporto di servizio» – Corte dei Conti, Sez. I, n. 121 del 13/4/2006.
Se il nostro è ancora uno stato di diritto, se le imposte sono ancora ancorate al fondamentale principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, allora, abbiamo ragione di ritenere che il giudice amministrativo non potrà che condividere le nostre ragioni sancendo l’inapplicabilità degli studi di settore alla categoria dei Medici di medicina generale e imponendo la tassazione sulla base dei soli redditi certi e certificati dal Ssn.