Barcellona – Le vele sono tornate a spiegarsi nel Mediterraneo. Dopo una sosta obbligata nel porto di Barcellona a causa del maltempo che ha colpito duramente la costa nordorientale della Spagna, la Global Sumud Flotilla è ripartita. A bordo, attivisti internazionali determinati a portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese nella Striscia di Gaza e a lanciare un messaggio politico contro il blocco imposto da Israele.
La partenza, documentata in diretta dall’emittente pubblica spagnola TVE, ha avuto luogo dopo ore di attesa e valutazioni tecniche. La flottiglia, composta da circa venti imbarcazioni civili di piccole e medie dimensioni, aveva lasciato Barcellona nel primo pomeriggio di domenica 31 agosto con rotta iniziale verso la Tunisia. Tuttavia, già nelle prime ore di navigazione, il peggioramento delle condizioni del mare ha costretto gli equipaggi al rientro.
Stop precauzionale: il Mediterraneo impone rispetto
“Abbiamo effettuato una prova in mare e poi siamo tornati in porto per far passare il temporale”, si legge nella nota diffusa dagli organizzatori, che hanno motivato la decisione con venti superiori ai 30 nodi e l’imprevedibilità delle condizioni marine. “La sicurezza e il benessere di tutti i partecipanti sono la nostra priorità. Non potevamo rischiare, soprattutto con le barche più piccole. È in gioco il successo della missione”.
La sosta forzata ha offerto però un’occasione: le imbarcazioni sono state ulteriormente ispezionate e ottimizzate prima della nuova partenza. La flottiglia, che ha raccolto adesioni da diversi paesi europei, ha mantenuto ferma la rotta: un’iniziativa che si colloca al confine tra intervento umanitario e disobbedienza civile, con l’obiettivo dichiarato di “rompere simbolicamente” l’assedio israeliano sulla Striscia di Gaza.
Un’iniziativa pacifica sotto osservazione internazionale
Il nome scelto per la missione, Global Sumud Flotilla, non è casuale. “Sumud”, in arabo, significa fermezza, resilienza, resistenza non violenta: un concetto cardine della narrazione palestinese. La missione, secondo quanto affermano i promotori, non prevede alcuna forma di provocazione armata o violenta, ma intende agire come testimonianza attiva della solidarietà internazionale verso la popolazione civile di Gaza, da anni sottoposta a un blocco terrestre, marittimo e aereo che, secondo numerose organizzazioni umanitarie, ha aggravato la già drammatica crisi umanitaria nella Striscia.
L’iniziativa, pur di natura civile, è seguita con crescente attenzione da osservatori internazionali e governi, non solo per le implicazioni politiche, ma anche per i precedenti. Le missioni navali verso Gaza, negli anni passati, hanno spesso generato tensioni e in alcuni casi violente reazioni, come l’intercettazione della Freedom Flotilla da parte delle forze israeliane nel 2010.
La preoccupazione italiana: Genova chiama la Farnesina
Sul fronte italiano, la partecipazione di cittadini e attivisti partiti da Genova ha spinto la sindaca del capoluogo ligure, Silvia Salis, a intervenire ufficialmente. In una lettera indirizzata al ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, la prima cittadina ha espresso “particolare preoccupazione” per le dichiarazioni di Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale israeliano, che ha anticipato l’intenzione di trattare i membri della flottiglia alla stregua di terroristi.
Un’accusa grave, che ha sollevato allarme tra le famiglie e le istituzioni locali. “Rivolgo un sentito appello al ministro Tajani – scrive Salis – affinché venga monitorata con la massima attenzione la missione dei nostri concittadini. È fondamentale che le istituzioni italiane facciano sentire la propria vicinanza e il proprio sostegno in un’iniziativa di così alto valore umanitario e civile”.
Verso Gaza: tra speranze, incognite e tensioni geopolitiche
Dopo la tappa in Tunisia, dove è previsto un approdo tecnico e un nuovo briefing tra gli organizzatori, la rotta della flottiglia si dirigerà verso le acque al largo di Gaza. È qui che la missione entrerà nella fase più delicata. Israele considera illegale ogni tentativo di violare il blocco navale intorno alla Striscia, dichiarato ufficialmente per motivi di sicurezza ma giudicato da molti esperti come una forma di punizione collettiva.
Non è ancora chiaro se le autorità israeliane opteranno per un’intercettazione preventiva delle barche, o se la pressione diplomatica internazionale riuscirà a ritardare o evitare un eventuale intervento militare. In ogni caso, gli equipaggi sembrano consapevoli del rischio: “Siamo pronti – hanno detto alcuni volontari – ma vogliamo che sia chiaro che questa è una missione pacifica, umanitaria, fondata sul diritto internazionale e sulla solidarietà tra i popoli”.
Un viaggio tra porti e coscienze
La Global Sumud Flotilla non è soltanto un’operazione logistica. È un atto politico, una forma di resistenza civile che cerca di tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale su una crisi troppo spesso relegata ai margini del dibattito. In un Mediterraneo che si conferma teatro di tensioni e sfide geopolitiche, le piccole imbarcazioni della flottiglia rappresentano una contro-narrazione: quella della società civile che non si rassegna al silenzio, che sceglie di agire dove la diplomazia spesso si arresta.
Per Gaza non è ancora tempo di porti sicuri, ma forse è tempo di gesti visibili, di voci fuori dal coro, di rotte tracciate non solo sulla carta nautica, ma sulle coscienze.