“Definire accettabile un accordo sui dazi al 10% è inaccettabile. Sarebbe una Caporetto per le imprese italiane.” Con queste parole, la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino, è intervenuta con toni durissimi contro il governo Meloni durante la trasmissione Omnibus, su La7.
La critica è rivolta alla gestione delle relazioni commerciali con gli Stati Uniti, in particolare all’eventualità di un’intesa che preveda l’introduzione di dazi su prodotti europei, scenario che metterebbe sotto pressione il sistema produttivo italiano.
“Il governo – ha dichiarato Appendino – si vanta di un presunto rapporto privilegiato con Washington, che si traduce in realtà in una cieca obbedienza. Intanto, il nostro tessuto industriale soffre e attende interventi urgenti, non generiche promesse”.
Nel suo intervento, Appendino ha richiamato una serie di recenti decisioni che, secondo lei, avrebbero penalizzato l’Italia a vantaggio degli Stati Uniti: dall’intesa per il gas liquido americano – che comporterebbe un aumento dei costi energetici – all’esenzione fiscale per le multinazionali digitali, fino all’impegno di destinare il 5% del PIL alla spesa militare, di cui una larga quota finirebbe a industrie d’oltreoceano.
Il punto centrale della denuncia riguarda però i dazi. Secondo la vicepresidente M5S, l’introduzione di tariffe doganali al 10% avrebbe un impatto devastante: “Parliamo di 20 miliardi di euro in esportazioni compromesse e 118 mila posti di lavoro a rischio. Questo non è un negoziato, è un cedimento totale”.
Nel contesto attuale, le imprese italiane – soprattutto nei settori manifatturieri e agroalimentari – sono già messe a dura prova da tensioni internazionali, instabilità geopolitiche e rincari energetici. L’eventuale innalzamento delle barriere tariffarie rappresenterebbe un colpo ulteriore, con effetti a cascata su produzione, occupazione e competitività del made in Italy.
Conclusione – L’impatto dei dazi: un rischio concreto per il sistema Italia
Una valutazione realistica degli effetti di un’imposizione tariffaria statunitense al 10% restituisce un quadro allarmante: esportazioni in netto calo, soprattutto nei comparti della meccanica, dell’automotive, della moda e del settore agroalimentare. I danni stimati ammonterebbero a decine di miliardi di euro, con conseguenze dirette sull’occupazione e sull’intero indotto produttivo.
In particolare, il rischio maggiore riguarda le piccole e medie imprese, spesso meno attrezzate per assorbire simili shock commerciali. In parallelo, si stima una possibile contrazione del PIL industriale nelle regioni più esposte all’export verso gli Stati Uniti, come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Le aziende italiane stanno cercando di reagire attraverso la diversificazione dei mercati e la riorganizzazione delle filiere, ma in assenza di una risposta strutturata da parte delle istituzioni – sia a livello nazionale che europeo – le contromisure rischiano di non bastare.
Per il governo, il tempo delle attese sembra finito. Le imprese chiedono risposte, non dichiarazioni. E le prossime settimane saranno decisive per evitare che uno scontro commerciale transatlantico si trasformi in una nuova crisi per l’economia italiana.