cura di Valentina Ceccarelli
Una vicenda legata all’indebita percezione di fondi pubblici ha trovato ieri il suo epilogo davanti al Tribunale di Ravenna, dove Gianluca Re, 54 anni, è stato condannato a sei mesi di reclusione per aver ottenuto indebitamente 10.340 euro previsti dal Decreto Rilancio, l’iniziativa del governo a supporto delle imprese durante l’emergenza Covid-19. Il giudice Antonella Guidomei, presiedendo il collegio, ha accolto in parte la ricostruzione accusatoria, pur riducendo la pena da un anno a sei mesi, considerando le attenuanti generiche e la recidiva contestata.
La storia inizia nel 2020, quando il “Centro Medico Riunito” di Cervia, ufficialmente in difficoltà economiche a causa della pandemia, ha presentato una domanda per ricevere i benefici destinati alle imprese colpite dalle conseguenze del Covid. Secondo l’accusa, Gianluca Re, amministratore di fatto della società, avrebbe approfittato della sua posizione per ottenere i fondi, nonostante la sua azienda non stesse operando durante la crisi sanitaria. La domanda per il contributo era stata presentata nel luglio dello stesso anno e, nonostante la mancanza di attività aziendale, il contributo venne erogato il 25 settembre 2020.
Il pubblico ministero, Francesco Coco, ha sottolineato che il contributo venne richiesto da una società ormai in crisi e prossima al fallimento, avvenuto nel maggio 2021. Il “Centro Medico Riunito” era stato trasformato, secondo l’accusa, in una “bad company”, con il trasferimento della clientela a un nuovo poliambulatorio dove le attività proseguivano senza interruzioni.
La difesa, affidata all’avvocato Giampaolo Cristofori, ha respinto le accuse, contestando innanzitutto la tesi secondo cui Re fosse l’amministratore di fatto. Secondo l’avvocato, il 54enne ricopriva formalmente il ruolo di direttore commerciale e non aveva alcun controllo sulla gestione amministrativa della società. Inoltre, la difesa ha evidenziato che la domanda per i fondi era stata presentata telematicamente e che il responsabile legale della società, il cui ruolo era quello di interlocutore ufficiale, non era stato adeguatamente interrogato. La difesa ha infine richiesto l’assoluzione di Re, ritenendo che non ci fosse un nesso diretto tra il fallimento della società e l’indebita percezione dei fondi.
Nonostante le argomentazioni della difesa, il collegio penale ha riconosciuto la responsabilità di Re, infliggendo una pena ridotta rispetto alla richiesta iniziale del pubblico ministero. La sentenza non ha però convinto completamente i legali dell’imputato, che hanno già annunciato l’intenzione di presentare ricorso in appello una volta che le motivazioni della sentenza saranno disponibili, previste entro 90 giorni.
Questa condanna porta alla luce una problematica critica che ha riguardato molte imprese durante l’emergenza sanitaria: la gestione dei fondi pubblici destinati a sostenere le attività in difficoltà. L’episodio mette in evidenza la necessità di una scrupolosa verifica e di un controllo rigoroso sulle richieste di contributo, per evitare che tali risorse vengano destinate in modo improprio.