26 Settembre 2023, martedì
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Soluzioni al debito: Aziende a rischio fallimento


A cura dell’Avv. Prof. Luca Barbuto

E’ noto che le aziende italiane vivono un periodo di particolare difficoltà economica e
finanziaria così come emerge dalle stime e dai dati forniti da Confcommercio per la quale, su un milione e 600 mila aziende attive, circa 120 mila, nel 2023 sono a rischio fallimento. Secondo ulteriori dati forniti da Confesercenti, nel 2022 oltre 43 mila imprese hanno definitivamente cessato l’attività ed in termini assoluti, a registrare le perdite più rilevanti sono state le regioni quali la Campania, con un saldo negativo di -2.707 negozi, il Lazio (-2.215) e la Sicilia (-2.142). Perdite rilevanti sono state registrate anche in Lombardia (-2.123), Piemonte (-1.683), Toscana (-1.479),
ed Emilia-Romagna (-1.253).
Le ragioni della crisi economica aziendale sono da rinvenirsi nella pandemia del 2020 – nel conflitto in essere, nei rincari ed infine nel rapporto tra imprese ed istituti bancari, divenuto sempre più complesso con la sempre maggiore rigidità del sistema, il quale ha sottoposto le aziende ad una forte stretta sulla valutazione del relativo merito creditizio e sulle forme di affidamento. Tutto ciò ha generato una forte crisi di liquidità intesa come l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni pianificate. Nel fare un passo indietro rispetto al fenomeno sopra descritto ed al fine di prevenire tali scenari l’imprenditore accorto è tenuto ad individuare preventivamente i segnali di allarme, ovvero monitorare il conto economico, costi e ricavi di un determinato esercizio, l’eventuale calo dei ricavi
complessivi, ed infine il rapporto tra debiti finanziari e patrimonio netto. Quindi una delle fasi del sistema di gestione, più importante, al fine di prevenire una crisi di liquidità, è il controllo. In tale fase sarebbe opportuno valutare una rinegoziazione dei rapporti con fornitori e clienti e rivedere i costi di gestione che da sempre impattano pesantemente sul bilancio di un’impresa.
Di certo, per le situazioni più “patologiche” validi ed efficaci soluzioni possono rinvenirsi nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza il quale di fatto ha introdotto strumenti finalizzati al superamento della crisi ed alla ripresa dell’attività aziendale, evitando così il ricorso a procedure liquidatorie e/o fallimentari da parte dei soggetti in crisi, al fine di tutelare il valore aziendale e i livelli occupazionali. In estrema sintesi, l’intento del Legislatore è quello di offrire la possibilità, per le aziende in crisi e per i soggetti sovra-indebitati, di pagare in misura ridotta sulla
base delle possibilità reddituali o patrimoniali ed ottenere, al termine di un percorso assistito dal controllo dell’autorità giudiziaria, un “fresh restart” (ripartenza da zero), riacquistando un ruolo attivo nell’economia.
Nonostante l’esistenza di strumenti concreti finalizzati alla ripartenza economica si registra tuttavia ancora una carente informazione sul tema del risanamento e della ristrutturazione aziendale e delle possibili soluzioni offerte e finalizzate appunto ad evitare la chiusura e la conseguente perdita di occupazione.
Basti pensare che le domande di composizione negoziata della crisi, istituto previsto
dagli artt. dal 12 al 25 quinquies del D.lgs 14/2019, di ausilio alle imprese in difficoltà, alla 17 febbraio 2023 risultano essere state 605, quindi, nonostante le finalità e potenzialità lodevoli della stessa, si registra un utilizzo assai distante da quanto si era prefigurato il legislatore che ha pensato la composizione negoziata come uno strumento estremamente versatile e semplice, da
utilizzare ai primi segnali di crisi, volto a preservare la continuità aziendale. Potenzialità da rinvenirsi nella nomina di un esperto indipendente che agevola le trattative tra l’imprenditore, creditori ed eventuali altri soggetti interessati, per l’individuazione di una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario.

Del resto, il legislatore, nell’ottica di prevenire l’insolvenza del debitore sin dai primi indici potenzialmente rilevatori della crisi, impone l’obbligo, agli enti previdenziali Inps e Inail, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, di segnalare all’imprenditore la presenza di debiti rilevanti affinché il debitore valuti se debba attivarsi di conseguenza, ricorrendo a uno dei quadri di ristrutturazione preventiva della crisi. È previsto espressamente che tali segnalazioni
debbano contenere l’invito alla presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto indipendente ai fini dell’accesso alla composizione negoziata della crisi
Stesse potenzialità da rinvenirsi nell’ulteriore strumento disciplinato dal Codice e
denominato concordato minore al quale possono ricorrere i professionisti, i piccoli imprenditori ed imprenditori agricoli e le start-up innovative, basata su una proposta di soddisfacimento dei crediti formulata dal debitore, che viene sottoposta alla valutazione dei creditori ed alla valutazione del Tribunale. Essa consente al debitore, come le altre procedure di sovraindebitamento, di ottenere, entro determinati limiti, l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti pregressi.
Particolare importanza assume in tale ambito il disposto di cui all’art 80 il quale prevede che, il giudice omologa il piano anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie laddove l’adesione
sia determinante ai fini del raggiungimento della percentuale di maggioranza necessaria e nel caso in cui la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
In conclusione, si auspica una maggiore diffusione e divulgazione degli strumenti finalizzati alla prevenzione e risoluzione della crisi da parte degli operatori del settore e delle istituzioni al fine di evitare il forte impatto economico conseguente alla chiusura delle attività ed alla perdita occupazionale.

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