26 Aprile 2024, venerdì
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I diritti di chi subisce capo al lavoro

Prima di tutto cerchiamo di spiegare il termine boosing.

Se una persona vuole essere impertinente fino in fondo, se vuole annientare la parte migliore di un altro, ci riesce in mille modi senza troppa fatica. Così, il bossing può manifestarsi con atteggiamenti sproporzionatamente severi verso un dipendente, con rimproveri costanti più o meno motivati, trovando il classico pelo nell’uovo che per chiunque potrebbe essere trascurabile ma non per chi vuole attuare il famoso, insopportabile, insostenibile «goccia a goccia»

Il bossing, però, si spinge oltre. Questa molestia psicologica, volutamente attuata, non ha solo lo scopo di far patire alla vittima una situazione di disagio: l’obiettivo è che lasci il suo posto di lavoro.

Inoltre, il bossing umilia volutamente chi si vede privato di ciò che merita: il computer, il buono pasto che gli altri hanno ma che a lui viene negato. Il bossing sfinisce con controlli immancabili, anche quando sono innecessari, con sabotaggi come il blocco dell’e-mail aziendale o del pc. Il bossing schiaccia il lavoratore con l’assegnazione di compiti degradanti rispetto alla sua qualifica e alle sue capacità. Il bossing potrebbe, addirittura, scavalcare i confini del lavoro e diventare reato di stalking: si pensi, ad esempio al capo che disturba la vita privata del dipendente.

Attenzione!

Il lavoratore che si ritiene vittima di bossing può presentare denuncia ai Carabinieri oppure alla Polizia nel caso in cui le vessazioni abbiano anche un rilievo penale e, quindi, costituiscano reato.

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