19 Marzo 2024, martedì
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Italia si, Italia no: le nuove forme di turismo, dalle protesi ai vaccini

Il turismo ha assunto nell’ultimo ventennio un’accezione sempre più variegata con particolare riferimento alle opportunità ed ai vantaggi che questo stesso offre. Il flusso continuo e costante di persone che viaggiano verso un altro Paese ha preso di mira più di una necessità, non limitandosi alla visita turistica delle bellezze paesaggistiche verso cui si è diretti, bensì per motivi di salute, per migliorare il proprio aspetto od anche per concedersi qualche “emozione” che altrimenti in Europa sarebbe punita (t. sessuale). Tra i motivi che fanno da richiamo alla migrazione verso un Paese estero si evidenzia l’opportunità low cost degli interventi, senza dover negare che oltre i confini è possibile fare richiesta di interventi estetici rischiosi che non sono accessibili all’interno della comunità europea.

Il turismo estetico è uno dei nuovi fenomeni in materia di bellezza, che si registra per la verità già da qualche anno, ma che negli ultimi periodi sta crescendo in modo evidente. Il turismo della chirurgia estetica, che rientra nella più ampia definizione di turismo sanitario, vale oggi, a livello mondiale, oltre 87 miliardi su base annua. Partiamo sfatando un mito: la chirurgia plastica low cost non esiste. Questo perché spesso e volentieri si leggono promozioni riferite ad offerte irrinunciabili alle quali è difficile non cedere. Come sempre, meno soldi fa rima con meno qualità: ed il rischio, parlando di interventi chirurgici, è quello di trovarsi a fronteggiare conseguenze anche piuttosto gravi. Talvolta il paziente viene operato in strutture con standard di sicurezza assolutamente inadeguati, viene dimesso poche ore e spesso neanche controllato dopo l’intervento chirurgico, senza controlli post operatori, che dovrebbero essere cadenzati e regolari per almeno 2 o 3 mesi. C’è poi sempre il rischio di insorgenza di infezioni o complicanze varie, oltre che i pericoli legati ad eventuale viaggio aereo di svariate ore dopo l’intervento, che può causare diverse problematiche legate alla salute.

Ecco perché si deve sempre diffidare da offerte troppo vantaggiose e da prezzi eccessivamente bassi; spesso non si riceve lo stesso servizio in termini di cura pre e post operatoria. Ed in caso di complicazioni il paziente sarebbe costretto ad andare incontro a costi aggiuntivi oltre a quelli già spesi per il pacchetto viaggio + intervento chirurgico, senza possibilità di intraprendere un percorso legale per eventuale risarcimento. Ciò anche in virtù del fatto che le mete del turismo di chirurgia estetica sono spesso esotiche, luoghi lontani, se si pensa che al primo posto c’è la Corea del Sud (dati: International Society of Aesthetic Plastic Surgery) oppure mete più comuni e vicine per il turismo chirurgico italiano sono l’Albania, la Tunisia e la Romania. Molti di questi viaggiatori per trattamenti di chirurgia estetica partono senza neanche informarsi prima sul nome della clinica, su quello del medico che opererà e sulla sua reputazione. Eppure a fronte di tutti i rischi presenti, quello del turismo della chirurgia estetica continua ad essere un fenomeno piuttosto diffuso. I motivi sono molteplici: vuoi per il fattore risparmio cui si faceva riferimento prima, o per la possibilità di abbinare l’intervento ad una vacanza in un paese mai visitato; ed ancora si possono menzionare i tempi di attesa per l’intervento chirurgico, spesso più brevi rispetto all’Italia. Stesso discorso per il turismo dentale, consuetudine più radicata di quanto si possa immaginare, che invogliati dall’opportunità di non spendere un capitale ma ottenere il sorriso perfetto con metà del budget richiesto ad esempio in Italia, abbagliati dall’ingorda opportunità del risparmio, non si è portati a riflettere sulle conseguenze che un intervento low cost può comportare alla nostra salute: materiali scadenti, mancanza di igiene e di professionalità difatti potreste incappare in un semplice odontotecnico che nulla a che vedere con il medico dentista.

Ma non solo. Anche in epoca di pandemia va diffondendosi- paradossalmente- i viaggi vaccinali dando vita all’ennesima forma di turismo: spronati dal desiderio di evadere dopo un lungo periodo confinati nelle proprie città, un numero consistente di italiani si concede il lusso di vaccinarsi oltre i confini. Russia e Emirati Arabi , per citarne alcuni, sono disposti ad accogliere anche i non-membri, a condizione di avere più di sessantacinque anni o di essere affetti da comprovate malattie che li rendano categoria prioritaria per accedere alla vaccinazione, fa eccezione la Serbia che non pone alcun limite alla somministrazione, pronta a vaccinare chiunque voglia farlo. Per questo il Governo ha dato l’ok all’inoculazione del vaccino non solo a non- residenti e stranieri, ma anche i turisti occasionali, dando inoltre la possibilità di scegliere il farmaco “preferito” tra Pfizer, Moderna, Sputinik V, AstraZeneca e persino il cinese Sinopharm. Un fenomeno, quello del turismo vaccinale, scoppiato in primis negli Stati Uniti, dove la Florida è stata “presa di mira” come una delle prime destinazioni per i viaggiatori a causa della politica iniziale di vaccinare chiunque avesse un età superiore ai sessantacinque anni. Con una precipitosa inversione di rotta lo “Sunshine State”, ha deciso di implementare nuove regole di identificazione, nel tentativo di indirizzare più vaccini ai suoi residenti, ma non prima di aver inoculato oltre 50.000 turisti e persone provenienti da fuori i confini dallo stato.

a cura di Maria Parente

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