29 Marzo 2024, venerdì
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Le spie per abusi edilizi possono restare anonime ?

Le spie per abusi edilizi possono restare anonime ?

Risponde Prof.Giuseppe Catapano

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Non c’è privacy per le spie. Chi subisce in casa un sopralluogo della polizia municipale alla ricerca
di un abuso edilizio ha diritto a sapere chi lo ha segnalato al Comune. E ciò perché in Italia «non esistono denunce segrete»: al privato deve essere consegnata un copia dell’esposto presentato contro di lui anche se la verifica ha avuto esito negativo. È quanto emerge dalla sentenza 510/19, pubblicata dalla prima sezione del Tar Liguria.
Trasparenza e responsabilità. Il ricorso è accolto perché il cittadino è portatore di un interesse qualificato a conoscere il nome di chi lo accusa: il Comune ha 20 giorni di tempo per tirare fuori le carte. Non convince la tesi secondo cui il no all’accesso agli atti non incide sul diritto di difesa. Sbaglia l’avvocatura civica quando esclude l’ostensione dell’esposto in tema di abusi edilizi, anche quando pende una causa civile contro il condominio, perché con l’esito negativo basta il verbale del sopralluogo ad attestare che l’immobile è in regola dal punto di vista urbanistico ed edilizio. La privacy è tutelata ad esempio in caso di dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva: divulgare i nomi potrebbe esporli ad azioni discriminatorie o indebite pressioni da parte del datore.

Per il resto, non ha diritto alla riservatezza chi assume iniziative che comunque incidono sulla sfera giuridica di terzi. Il nostro ordinamento, scrivono i giudici, è ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità che impediscono di tenere nascosto il nome dell’autore di denunce, segnalazioni o esposti.

L’atto esce dal controllo dell’autore una volta entrato nella sfera di conoscenza dell’amministrazione: costituisce il presupposto dell’attività ispettiva e riguarda direttamente il soggetti inciso in qualità di denunciato; il quale, dunque, ha diritto a conoscere per intero i documenti utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza.

Denunce, effetti limitati. Il Comune, poi, non può ordinare al condomino di abbattere la veranda solo perché il vicino lo denuncia.

L’amministrazione, infatti, non deve farsi carico di questioni privatistiche nel momento in cui è chiamata ad assentire l’opera edilizia. È quanto emerge dalla sentenza 1593/18, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Campania.

Accolto il ricorso del singolo proprietario esclusivo che vuole costruire due verandine e una pensilina. L’autotutela scatta perché con l’esposto del vicino emergono «aspetti controversi» sul diritto di proprietà dei balconi «incriminati». Ma non sussistono i presupposti affinché il Comune possa rimangiarsi il permesso di costruire in sanatoria: manca l’assenso del condominio agli interventi. E ciò perché al momento in cui l’ente locale concede il titolo in sanatoria non conosce i limiti condominiali al progetto laddove è controversa la titolarità dei balconi e dei passetti oggetto dell’intervento.

Dagli allegati tecnici all’istanza di accertamento di conformità emerge che si tratta di opere effettuate su balconate di pertinenza dell’appartamento di proprietà del richiedente. E se la questione della titolarità risulta incerta, non è certo il Comune a doverla chiarire: la circostanza esula dai poteri di verifica affidatigli in sede di rilascio del titolo edilizio. Né si può ordinare la demolizione sul rilievo che i manufatti incidono sull’estetica del fabbricato: il decoro architettonico dell’edificio condominiale è un’altra questione privatistica di cui non deve ingerirsi l’amministrazione.

Diritto di sapere anche per chi rischia il processo. E se invece la segnalazione anonima ha esito positivo? Chi è denunciato ai vigili urbani ha comunque diritto a vedere l’esposto anche quando rischia il processo per abuso edilizio. La comunicazione della polizia municipale alla procura della repubblica, infatti, non rientra fra le attività di polizia giudiziaria: il destinatario del controllo ha l’interesse qualificato a conoscere le carte da cui emergerebbe il reato. È quanto stabilisce la sentenza 11188/15, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lazio.

Sbaglia il comando della polizia locale a rispondere al proprietario dell’immobile che l’accesso all’esposto è precluso dall’articolo 329 cpp in quanto è stata comunicata una notizia di reato. In realtà il responsabile dei lavori ha diritto a leggere la denuncia: in questo caso la comunicazione dei vigili in Procura non rientra fra le attività di polizia giudiziaria, mentre chi è soggetto a un controllo o a un’ispezione ha l’interesse qualificato a conoscere tutti i documenti dai quali scaturisce l’iniziativa.

Nel nostro caso la polizia municipale, in quanto espressione del Comune, agisce nell’ambito della sua attività istituzionale, che è amministrativa e non come polizia giudiziaria quando ha ricevuto l’esposto dal terzo. Risulta dunque esclusa l’applicazione della regola secondo cui gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’interessato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Deve invece riconoscersi al proprietario dell’immobile nei guai per l’opera edilizia la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad esposti o denunce presentati nei suoi confronti.

Diritto alla trasparenza anche per le persone giuridiche. Il diritto alla trasparenza, poi, va riconosciuto alle persone giuridiche oltre che a quelle fisiche. La società additata in un esposto rivolto al Comune sulla sua attività ha diritto a conoscerne il contenuto anche se l’atto proviene da un privato: è infatti esclusa la tutela della riservatezza invocata dall’amministrazione quando il documento va comunque a incidere sulla sfera giuridica della compagine. È quanto emerge dalla sentenza 898/17, pubblicata dalla terza sezione del Tar Toscana. La srl ha diritto all’ostensione anche se le carte richieste non risultano strumentali a un’eventuale difesa in giudizio: la società che si trova esposta a un controllo a un’ispezione è titolare di un interesse qualificato a ottenere tutti i documenti utilizzati, compresi gli atti di iniziativa e preiniziativa.

Poteri repressivi. È escluso, tuttavia, che il Comune possa far finta di niente di fronte all’istanza di uno dei condomini che vuole siano puniti gli abusi edilizi compiuti da un altro. E ciò per due motivi: da una parte è possibile ricorrere alla procedura del silenzio-adempimento dell’ente locale sui mancati controlli alle opere realizzate senza titolo dal vicino; dall’altra l’amministrazione deve comunque dar seguito alla domanda della parte privata anche quando la ritiene inammissibile. È quanto emerge dalla sentenza 3454/19, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio.

Accolto solo in parte il ricorso proposto da uno dei proprietari esclusivi contro il silenzio serbato dall’amministrazione: gli uffici devono fornire almeno un riscontro entro novanta giorni alla denuncia rivolta contro due condomini del piano terra.

In entrambi i casi gli immobili sorgono manufatti negli spazi di distacco dal fabbricato contro il divieto contenuto nel regolamento condominiale, secondo cui le aree devono rimanere destinate a giardino. Ma per un’opera pende una causa davanti al Tar e per l’altra la domanda di condono: si tratta del box realizzato dai precedenti proprietari. In ogni caso il Comune deve rispondere all’istanza del privato che lo sollecita a esercitare i poteri repressivi in materia edilizia: sono escluse soltanto le domande pretestuose. E se l’inadempimento continua si può ottenere la nomina di un commissario che provveda. Il singolo condomino, tuttavia, non può pretendere che si dia seguito all’obbligo di sistemare a giardino gli spazi assunto dal Comune quando ha rilasciato il permesso di costruire.

Sbaglia infine l’ente locale a ignorare la diffida proposta dall’amministratore condominiale, che è legittimato ad agire ex articoli 1130 e 1131 c.c.: l’iniziativa rientra nel potere di compiere atti conservativi nei confronti del fabbricato. Lo precisa la sentenza 297/18, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio.

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