26 Aprile 2024, venerdì
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Diritti umani: Liú, ombre cinesi sulle libertà fondamentali

Tra le motivazioni sostenute dal Nobelkomité norvegese nell’assegnare il riconoscimento per la pace all’attivista cinese Liú Xiǎobō (2010), c’è l’impegno come “forte portavoce della battaglia per la diffusione dei diritti umani“, questione insoluta e drammatica in Cina. A un anno dalla scomparsa, lo scrittore Yedu ha ricordato su amnesty.org che ”con il suo intelletto e il suo fascino era un ponte tra intellettuali e attivisti di base”. Attivo nelle proteste di Piazza Tienanmen (1989), la vita di Liú è stata segnata dalla repressione delle autorità cinesi che, nel 1996, lo condannarono a una pena di tre anni da scontare in laogai, il sistema dei campi di lavoro forzato denunciati dal Congresso statunitense (mozione 294/2005) ed in seguito dal Parlamento europeo e dal Bundestag tedesco, fino all’avvenuta abolizione nel 2013.Risultati immagini per pace diritti umani cina

Liú fu l’iniziatore di Charta 08 (2008), manifesto sottoscritto da 303 attivisti e intellettuali cinesi in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, per promuovere il rispetto dei diritti umani e la democratizzazione nel Paese. Dopo il silenzio della comunità internazionale, negli scorsi giorni, a latere dall’incontro tra il premier cinese Lǐ Kèqiáng e la cancelliera tedesca Angela Merkel, è stata accolta in Germania la poetessa Liú Xia, moglie di Liú Xiǎobō, che da otto anni si trovava agli arresti domiciliari in Cina. La partnership sino-tedesca produrrà progressi sul fronte della salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali della persona? Finora nelle strategie economico-commerciali del governo cinese, in cerca di alleati in Europa per contrastare i dazi statunitensi e sostenere la One Belt OneRoad Initiative (Obor), l’osservanza di condizioni fondanti la stessa cooperazione internazionale, in primis il rispetto dei diritti, è stata largamente elusa.

La ragnatela della repressione cinese
La stessa inviolabilità delle libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione cinese – di stampa e parola (art.35), credo religioso (36), dignità personale (38) e critica alle autorità (41) – è stata sovente oggetto di deroghe, come dimostra l’arresto nel 2015 dell’attivista Quin Yongmin, riformista e promotore della democrazia liberale, alla guida di Human Rights Watch China, incarcerato per “sovversione dell’ordine statale” e di recente condannato a 13 anni di reclusione.

L’impianto legislativo cinese, sotto la presidenza di Xi Jinping, ha potenziato il controllo nell’apparato istituzionale e nella società civile: colpendo “mosche e tigri”, ossia funzionari e vertici burocratici, secondo lo slogan di una campagna anti-corruzione (2014), il governo mira a riformare la governance della giustizia cinese, adottando il principio dello yifa zhiguo (“amministrare attraverso la legge”), orientato ad una maggiore trasparenza. Tuttavia, la dipendenza del sistema giudiziario dal potere esecutivo e l’inasprimento delle leggi sulla sicurezza nazionale, mirano “ad evitare che sorga qualsiasi problema suscettibile di minacciare il regime”, spiega a Le Figaro Samantha Hoffman, ricercatrice del Mercator Institute for China Studies, aggiungendo che “oggi le tecnologie forniscono mezzi più efficaci”.

Le attività di watchdog da parte di cittadini e Ong sono sotto il pervasivo ‘occhio’ delle autorità: oltre alla frequente censura di blog e social network, gli oltre 900 milioni di utenti WeChat, principale applicazione di messaggistica cinese, dovranno sottostare a nuove condizioni sul trattamento dei dati personali (settembre 2017), mentre le indagini condotte dall’intelligence stanno portando all’arresto di intellettuali e attivisti impegnati sul web nella difesa dei diritti umani e civili, come Huang Qi (64tianwang.com), Liu Feiyue (Minsheng Guancha) e Zhen Jianghua (Network of Chinese Human Rights Defenders).

Lo scorso maggio, in occasione della sua visita a Pechino, Angela Merkel ha incontrato le consorti di Wang Quanzhang, avvocato ed esponente del Chinese New Citizens’ Movement, spesosi a tutela dei perseguitati seguaci del Falun Gong (disciplina spirituale considerata, nel regolamento approvato quest’anno dal Consiglio di Stato, “un culto malvagio per indebolire il rispetto della legge”) e del suo difensore Yu Wensheng, detenuto anch’egli in attesa di giudizio. “L’escalation della repressione nella Cina di oggi suscita serie preoccupazioni per il suo benessere“, ha denunciato al Guardian l’attivista Michael Caster. Una realtà ignota a larga parte dell’opinione pubblica occidentale.

Diritti negati, un puzzle geopolitico
In chiusura della 38° sessione del Consiglio Onu per i Diritti umani, l’Alto Commissario Zeid Ra’ad al-Hussein ha criticato la Cina per aver negato l’acceso ai rappresentanti del suo Ufficio nelle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang, “territori nei quali la situazione dei diritti umani è in costante e rapido peggioramento”. Secondo le Nazione Unite, molti episodi di autoimmolazione (sei lo scorso anno, 152 nell’ultimo decennio), sono conseguenza dei reiterati soprusi subiti dall’etnia tibetana “anche a causa di tassi significativamente più alti di povertà, discriminazione etnica e ricollocazioni forzate”.

Nei “campi di rieducazione politica” dello Xinjiang, la minoranza turcofona e islamica degli Uiguri, accusata di radicalismo religioso, è minacciata da rimpatri forzati e rigidi “regolamenti anti-estremismo”, lesivi delle libertà fondamentali.

Le preoccupazione intorno ad un possibile asse Mosca-Pechino, autoritario e liberticida, è suffragata da posizioni comuni assunte in Consiglio di Sicurezza, come il veto sulle sanzioni da comminare alla Siria per l’uso di armi chimiche e la condanna dei crimini contro l’umanità commessi dal governo birmano ai danni della minoranza islamica dei Rohingya . ”Mentre alti funzionari delle Nazioni Unite descrivevano la campagna militare come “pulizia etnica”, i media di Stato cinesi – denuncia Human Rights Watch -, la sostenevano come una ferma risposta ai “terroristi islamici””.(affarinternazionali.it)

a cura di Maria Parente

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