26 Aprile 2024, venerdì
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Osce: Roma sprona l’Organizzazione, oggi come ieri

L’inaugurazione della presidenza italiana dell’Osce, l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, giunge al termine di un percorso storico di lunga durata e notevole interesse. I rapporti tra Roma e l’Osce risalgono infatti alla fase propositiva della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, la Csce, che avrebbe poi condotto all’esperienza di Helsinki.Nel novembre 1954, la prima nota sovietica che prospettava l’opportunità di dare luogo ad un incontro sulla sicurezza collettiva nel Vecchio continente fu tuttavia respinta anche da Roma, perché contrastante con la costituenda Unione europea occidentale (Ueo). L’Italia fu però il primo Paese occidentale a considerare con attenzione l’ipotesi di una conferenza paneuropea avanzata da Mosca circa un decennio dopo, sul finire degli anni Sessanta. Complice un clima internazionale meno teso rispetto al recente passato, dai colloqui romani dell’aprile 1966 il commissario del popolo per gli Affari esteri Andrej Gromyko trovò nel capo del governo Amintore Fanfani l’attento interlocutore di una proposta che nei mesi successivi avrebbe compiuto il suo corso.download.jpg

Le radici del focus Mediterraneo
Sebbene ne percepisse i rischi per la coesione euro-atlantica, il nostro Paese intravide nella struttura peculiare del nuovo forum egualitario l’opportunità di guadagnare un maggiore spazio nello scenario internazionale. Un obiettivo che poteva essere perseguito utilizzando l’ipotizzata Csce come cassa di risonanza di problemi (e aree) di interesse nazionale, come il Mediterraneo.L’Italia prese dunque parte alle fasi preparatorie (1972-75) e a quella finale istitutiva della Conferenza, svoltasi nella capitale finlandese nell’agosto 1975 e terminata con le firme di 35 capi di Stato e di governo sull’Atto Finale, del quale gli italiani curarono l’annessa “Dichiarazione sul Mediterraneo”. Tuttavia, il successivo tramonto della Détente – che della Csce era stata ideale terreno di coltura – e l’approssimarsi di una nuova fase di contrapposizione bipolare non consentirono all’Italia quel grado di influenza inizialmente auspicato, sebbene nell’ambito delle riunioni sui Seguiti della Csce e di altri appuntamenti specifici Roma mantenesse un vivo interesse per il processo di Helsinki e alcuni dei suoi temi principali.

Da Conferenza a Organizzazione
Nella seconda metà del decennio, insieme a quella della Csce, anche l’azione dell’Italia sperimentò un periodo di eclissi, tanto che si dovrà attendere la conclusione della Guerra Fredda per ritrovare Roma coinvolta in prima fila all’interno del consesso multilaterale. Fu anzi in questo scenario che nel 1994 l’Italia guidò una prima volta la Presidenza in esercizio (Pie). Si trovò allora davanti un’Organizzazione nei cui confronti si nutrivano pressanti dubbi di ordine politico: tra questi, quelli relativi ad un assetto interno ancora incerto, con l’avvertita esigenza di dotarsi di strutture e organi permanenti che ne assicurassero la persistenza dell’attività.

La Csce/Osce fu anche oggetto di aspre critiche per gli insuccessi nel prevenire il deterioramento della crisi in Jugoslavia nel 1993. Ed in questo clima la presidenza italiana si spese per rilanciare l’immagine dell’Organizzazione, a cominciare dai Balcani, che furono oggetto di una serie di operazioni atte a disinnescare le principali situazioni d’attrito, specie tra Albania, Grecia e Macedonia. L’Italia, inoltre, promosse l’avvio di nuovi missioni sul campo, portandole ad otto; tra queste, si ricordano l’invio nell’estate del 1994 di una missione in Ucraina, in seguito alla proclamazione di un’assemblea parlamentare in Crimea, e soprattutto la positiva mediazione svolta tra i Paesi baltici e la Russia nell’agosto 1994.

Sfide e prospettive dell’agenda italiana
Sotto il profilo teorico, la guida italiana del 1994 promosse quel concetto di comprehensive security, che accanto ai tradizionali aspetti di sicurezza politico-militare, sommava altri fattori di natura economica e sociale, in ossequio alla struttura di cooperazione multi-tematica dei tre cesti codificata nell’Atto Finale.Sulla base di tale interpretazione, fu infatti possibile dare rilievo a nuovi temi e aree sino ad allora marginali. È il caso della questione migratoria, che iniziò ad essere maggiormente considerata quale aspetto della dimensione umana, rispetto alla quale la presidenza italiana si fece portavoce delle possibilità di dialogo con i paesi mediterranei non partecipanti alla CSCE. Questa azione portò a un primo risultato concreto con la partecipazione al vertice di Roma del 1993 di Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia e Israele – che oggi, insieme alla Giordania, fanno parte dell’Osce Mediterranean Partnership for Cooperation – facendo riecheggiare l’idea di Helsinki del Mediterraneo caldeggiata da Aldo Moro.Da quanto precede si può dedurre che alcune delle linee d’azione passate saranno dei leitmotiv anche della presidenza italiana 2018. Roma si trova a dover affrontare una panoplia di questioni, differenti per natura e complessità. È questo il caso della situazione ucraina, che vede l’Osce operare nella regione con la sua missione più consistente, nella quale l’Italia può far valere specifiche expertise nel dialogo con Mosca; o l’area mediterranea, oggetto di interesse specifico anche al fine di riequilibrare gli ambiti d’azione dell’Organizzazione.Infine, la coincidenza della presidenza italiana dell’Osce e della presidenza bulgara del Consiglio dell’Unione europea, sommata all’attenzione che il Servizio europeo per l’azione esterna riserva ai Balcani occidentali, attraverso il piano di implementazione della Strategia globale dell’Ue, riporteranno nel 2018 il focus sulla delicata regione del vicinato europeo.Tali sinergie possono dare una spinta decisiva verso l’integrazione europea attraverso il raggiungimento di standard europei nelle aree di giustizia e sicurezza. Non bisogna difatti dimenticare, nell’analisi del lavoro svolto sul campo dall’Osce, che la presenza internazionale maggiore è proprio nei sei Paesi dei Balcani, dove l’Organizzazione viennese ha sul campo cinque missioni e una “presenza” (quest’ultima in Albania).

a cura di Maria Parente

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