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Legge 67/2014 e messa alla prova: rimessa una questione alle Sezioni Unite

Si segnala l’ordinanza numero 30559, depositata l’11 luglio 2014, con cui la quarta sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite una questione relativa all’istituto della messa alla prova introdotto dalla recente legge 67/2014.

La legge n. 67 del 2014 – affermano i giudici – presenta evidenti difficoltà interpretative in assenza di una disciplina transitoria diretta a regolare i procedimenti instaurati per i delitti previsti dall’art. 168 bis c.p.p., che alla data del 17 maggio 2014, abbiano superato le fasi processuali entro le quali, ai sensi dell’art. 464 bis c.p.p., la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta dall’imputato.

La mancanza di norme di diritto intertemporale impone, dunque, di affrontare la questione se la nuova disciplina possa trovare applicazione anche nel processo che abbia già superato la fase processuale indicata dal nuovo art. 464 bis c.p.p., comma 2, entro la quale può essere formulata, a pena di decadenza, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

La soluzione – si legge nell’ordinanza – non può non passare attraverso l’inquadramento sistematico dell’istituto in esame nel quale sono all’evidenza individuabili profili sia di carattere sostanziale (si tratta di una nuova causa di estinzione del reato inserita nel codice penale conseguente all’adempimento di un programma che implica misure limitative della libertà del soggetto), sia profili di carattere processuale, avendo il legislatore previsto specifici momenti processuali per la proposizione della richiesta (v. in particolare l’art. 464 bis c.p.p.).

Ad avviso della Corte, la soluzione più garantista – che meglio coniuga le esigenze difensiva con un portato normativo non leggibile in modo inequivoco – è ovviamente quella dell’immediata applicabilità dell’istituto della messa alla prova anche ai fatti pregressi e per i processi pendenti, pur in assenza di una disciplina transitoria, in applicazione delle regole generali previste dall’art. 2, comma 4, c.p. e dei principi sopra indicati.

Adottando questa soluzione, si porrebbe strettamente connesso, il problema della individuazione del giudice competente, dinanzi al quale può essere formulata richiesta di sospensione del processo con messa alla prova. Tale giudice potrebbe essere individuato nel giudice indicato dalla nuova disciplina nell’art. 464 c.p.p. e ss., oppure nel giudice di appello, in conformità a quanto è stato affermato da questa Corte con riferimento al lavoro di pubblica utilità, laddove è pacifico che l’imputato di guida in stato di ebbrezza possa chiedere l’applicazione del lavoro di p.u. in appello, anche quando la condotta di reato sia stata commessa in epoca anteriore alla modifica normativa che ha introdotto il lavoro di p.u. e pur dopo il giudizio di primo grado che quella sanzione non aveva disposto (in ipotesi perchè non ancora esistente: v. in tal senso Sezione 4^, 28 maggio 2013, Silvestri, rv. 256208).

Sul punto va sottolineato, ai fini della decisione, che gli effetti sostanziali del nuovo istituto non consistono in automatismi dei quali il giudice possa fare applicazione anche all’esito del dibattimento, in sede di impugnazione o in fase esecutiva, essendo richiesto un esperimento comportamentale, caratterizzato da valutazioni di carattere discrezionale. Analoghe questioni si pongono nel giudizio di legittimità – ove, all’evidenza, è precluso l’applicazione di tale regime – in caso di annullamento con rinvio, al fine di individuare il giudice competente.

La delicatezza della materia e la possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto – conclude la Corte – afferenti il regolamento di diritti di rilievo costituzionale, impone l’intervento regolatore delle Sezioni unite.

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