27 Aprile 2024, sabato
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L’ossessione tedesca per la slealtà italiana

Nel giro di pochi giorni sui principali quotidiani tedeschi abbiamo letto due commenti di segno opposto con titoli forti: “Il tradimento dell’Italia” (Frankfurter Allgemeine Zeitung) e “Renaissance dell’Italia” (Süddeutsche Zeitung). A firmarli due giornalisti “esperti di cose italiane”, rispettivamente Tobias Piller e Stefan Ulrich.

I pezzi all’interno sviluppano i loro argomenti in modo meno perentorio della loro titolazione, ma forse segnalano l’aprirsi un nuovo capitolo della percezione dell’Italia in Germania. Con la ripresa dei tenaci indistruttibili pregiudizi – negativi e positivi – naturalmente ricambiati dagli italiani.

Tradimento dell’Italia
Da parte tedesca c’è la dichiarata sfiducia verso l’Italia per la sua costante, storica inaffidabilità nel mantenere quanto promette. Ad essa si affianca però (minoritariamente) anche una benevola attesa per le sue straordinarie risorse latenti. È la scommessa di sempre, non solo dai tempi dei mitizzati rapporti tra Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, ma da ancora prima, si può addirittura risalire a Bismarck e alla classe politica italiana post-cavouriana.

Lasceremmo perdere volentieri quel passato più o meno remoto, se dal suo profondo non provenisse un modo di sentire e di esprimersi che porta con sé l’odiosa parola “tradimento”. Oggi è appena corretta o tenuta a bada dal “politicamente corretto”. Lo si vede in questi mesi di celebrazioni internazionali dell’inizio della Grande Guerra che registrò il passaggio dell’Italia dall’alleanza con la Germania e Austria al fronte opposto franco-inglese.

Molta storiografia internazionale continua a trattare con una benevola supponenza questo “cambio di alleanze”, come se non si fosse trattato di un legittimo (magari discutibile) atto di sovranità nazionale, ma appunto di un tradimento più o meno mascherato “all’italiana”.

È un discorso impegnativo naturalmente, a metà tra riflessione storiografica e psicologia collettiva. Ma è assolutamente scorretto parlare di “ tradimento” per criticare l’atteggiamento italiano di oggi. È fortemente equivoco affermare polemicamente che “l’Italia riceve aiuti immediati contro vaghe promesse, e la Germania ha motivo di sentirsi raggirata” (come scrive Tobias Piller, utilizzando con un’acrobazia interpretativa, un’espressione di Carlo Azeglio Ciampi).

Monti, il “tedesco” che chiede flessibilità
Non si tratta di fare una patetica difesa d’ufficio patriottica o di attenuare le responsabilità italiane, ma di giudicare con realismo la situazione.

Emblematica è l’esperienza di Mario Monti. Contiene quasi tutti gli ingredienti di altre esperienze storiche: iniziale simpatetica convergenza di intenti con la Germania, adesione alle sue posizioni virtualmente egemoniche, poi graduale emergere di prospettive e propositi diversi se non alternativi, che portano i tedeschi a denunciare una fraudolenta rottura italiana degli accordi presi.

È accaduto appunto con Monti, il premier inizialmente salutato con entusiasmo e gratificato dall’epiteto di “tedesco” (in sottile antagonismo con “l’italiano” Mario Draghi). L’anomalia istituzionale del governo “tecnico” – un autentico “governo del Presidente” – è stata accolta con assoluta benevolenza perché il programma da lui enunciato e in parte realizzato era in sintonia con la linea tedesca.

Quando Monti però ha tentato di modificare la rotta comune, chiedendo alla Germania “maggiore elasticità” in tema di patto fiscale, sistema di stabilità finanziaria e riforma bancaria, ha subito incontrato l’ostilità tedesca. Come scrive Stefan Kornelius nella sua apprezzata biografia sulla cancelliera, all’indomani del summit del giugno 2012 e della conferenza notturna di Monti, “Merkel era furiosa. Monti aveva rotto le regole”.

Anziché entrare nel merito delle misure proposte da Monti, contro di lui è scattata la sindrome tedesca della slealtà italiana, l’accusa agli italiani di essere congenitamente incapaci di mantenere i patti.

Renzi, faccia della “sorprendente Italia”
Una presunta lettura antropologica ha preso il posto dell’analisi politica. Non c’è stata nessuna seria analisi se la politica di Monti, al di là del suo stile tecnocratico e della sua problematica “strana maggioranza”, fosse quella più adatta per un’Italia economicamente stremata.

La crescente alienazione della popolazione dalla politica (che alle elezioni si sarebbe tradotta in un’elevatissima astensione), la crescita esponenziale del grillismo, la persistenza del berlusconismo e quindi il flop elettorale di Monti, sono stati letti in Germania come conferma della cronica instabilità italiana. Quindi come antropologica inaffidabilità degli italiani. Non come segni di colossali problemi oggettivi da affrontare con un nuovo approccio razionale ed economico.

Poi inatteso arriva il fenomeno Renzi – l’altra faccia della “sorprendente Italia”. Ricomincia il gioco. Angela Merkel sfoggia la sua benevola simpatia per il giovane premier italiano che dichiara la Germania non un nemico da battere, ma un modello da imitare. Ma la cautela politica è d’obbligo e la cancelliera è maestra in questo.

Nessuno sa ancora come andrà a finire.

Rimane un punto importante: smettiamola con gli stereotipi su italiani e tedeschi. In particolare è tempo che le classi politiche tedesca e italiana, invece di baloccarsi con reciproci luoghi comuni, imparino a conoscersi e a parlarsi più seriamente.

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