28 Marzo 2024, giovedì
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Cocaina da Panama a Gioia Tauro nelle pinne dei pesci. Spunta il nome Lavitola

Droga, soprattutto cocaina, nascosta dentro il pesce. Sotto le pinne o direttamente nella pancia. Una quantità enorme di droga, una media di 170 chili alla settimana, quasi 700 al mese, per un guadagno mensile superiore al milione e trecentomila euro.

Due le rotte privilegiate: da Panama verso gli Stati Uniti, da Panama (via Perù dove i pesci venivano farciti) fino a Gioia Tauro, in Calabria. Un giro enorme in cui, secondo un’inchiesta firmata sulCorriere della Sera da Amalia De Simone, spunta anche il nome di Valter Lavitola, imprenditore ed editore al centro di diverse vicende giudiziarie che riguardano anche Silvio Berlusconi.

Ad accusare, nell’inchiesta del Corriere, è un imprenditore del settore ittico. Parla di legami tra Lavitola e un altro potente imprenditore italiano di cui non fa il nome. Mostra una serie di email in cui Lavitola e l’imprenditore parlano tranquillamente dei carichi di droga da nascondere nel pesce.

Scrive Amalia De Simone:

Nelle email tutte risalenti al periodo aprile/maggio 2011 si leggono frasi come «Va tutto dentro i pesci. Carico consegnato in Perù e poi consegnato a Gioia Tauro. Perdita, nessuna responsabilità all’arrivo» e ancora «(…) I trasporti li facciamo dentro i pesci grossi Tonno, pescecani (…)», «L’importante è che la merce arrivi a Gioia. I capi ci aspettano». Secondo le nostre fonti il traffico, cominciato nel 2009/2010 è stato intenso fino al 2012 con circa un carico alla settimana di 170 chili di cocaina per un totale di 680 chili al mese e un guadagno di un milione e 300 mila euro.

Quando la droga era diretta negli Stati Uniti partiva dalla Colombia, veniva impacchettata a Panama e con piccole e veloci imbarcazioni il carico arrivava sulle coste Usa. Quando invece il carico era diretto a Gioia Tauro la droga veniva inserita in Perù: il pesce veniva spedito da Panama, arrivava in Perù dove in parte veniva venduto ai supermercati e in parte impacchettato di nuovo insieme alla cocaina e spedito verso il porto di Gioia Tauro.

In Calabria i clan della ‘ndrangheta (una delle fonti indica la famiglia dei Pesce) provvedevano a ritirare la merce. «La droga veniva messa in buste resistenti e sistemate insieme al pesce pulito sotto le scatole – racconta il nostro testimone – In genere si trattava di filetti di squalo o di tonno o di altri pesci di grandi dimensioni. Anche Lavitola ha una ditta ittica in Brasile e il suo amico (il proprietario della ditta indicata nelle foto ndr) commercia pinne di squalo verso l’oriente anche se questo tipo di attività è vietata. Come si legge in una delle e mail, questo commercio frutta bene, fino a 500 dollari per pinna. In Oriente è un piatto prelibato. Loro lo pescano nell’isola di Malpelo. Si erano assicurati importanti accordi commerciali e il governo Panamense aveva concesso alla sua società (come si può vedere in uno dei documenti che mostriamo nella videoinchiesta ndr.), una grossa area per la loro attività ittica».

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