di Michele Imperio
Nel 2007 i paesi cosiddetti avanzati producevano quasi il 75% del Pil mondiale. Nel 2012 (quindi appena cinque anni dopo) questa percentuale è scesa al 63%. Ciò che si supponeva dovesse avvenire in dieci o vent’anni è accaduto in cinque. I differenziali di crescita fra paesi occidentali e paesi orientali più Brasile e Sudafrica, hanno determinato un consistente spostamento nella distribuzione dei redditi e della ricchezza mondiale. Soprattutto le multinazionali vogliono stare dove c’è ricchezza e non povertà e quindi stanno attuando un massiccio trasferimento delle loro sedi da Occidente a Oriente. Ma dopo di loro anche le imprese nazionali seguiranno la stessa strada come se fossero uno sciame d’api. Alcune lo hanno già fatto.La delocalizzazione delle imprese a Oriente risponde a queste esigenze. Per di più, disponendo di meno risorse rispetto al passato tutti i paesi cosiddetti avanzati stanno vivendo un rapido deterioramento delle proprie finanze pubbliche. Se dieci anni fa le crisi del debito pubblico erano considerate una piaga che affliggeva i paesi in via di sviluppo, oggi questa è una maledizione che affligge le cosiddette economie avanzate.
Quindi se qualcuno oggi vi parla di ripresa economica dell’Europa vi prende in giro. Così come sono impostati, salvo che non vogliano darsi impostazioni diverse (vedi per esempio le proposte di questa pubblicazione:, i paesi europei cosiddetti avanzati possono al più sperare di passare da una recessione a una stagnazione. Fanno eccezione la Germania e alcuni paesi di minime dimensioni territoriali come la Norvegia, la Svizzera, il Principato di Monaco, il Principato del Lussemburgo, San Marino e Malta.
Nel complesso però il paziente Europa è praticamente in coma. Basta dare un’occhiata ai parametri chiave: lavoro, credito, Pil, finanza pubblica.
Cominciamo dal primo: il lavoro. La disoccupazione in Europa – scrive l’economista Paolo Barnard – è ancora a livello “mostruoso” soprattutto nei paesi della fascia latino-meditarranea Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. La disoccupazione ha raggiunto i suoi massimi storici. La disoccupazione giovanile è arrivata a uno sconvolgente 40%. Questo significa che il danno arrecato sarà per generazioni. Sarà un danno sistemico, che durerà decenni. La cosiddetta ripresa del settore manifatturiero, l’unica di cui si parla, coinvolge in realtà una minima parte dell’economia e non sta creando posti di lavoro: al contrario le aziende continuano a licenziare.
Credito. Le banche europee sono esposte a mutui cosiddetti “marci” (impagabili) per almeno 1.000 miliardi di euro. Gli istituti di credito quindi non possono più svolgere il loro compito primario, che è quello di prestare denaro al sisitema produttivo e alle famiglie. Ormai le banche sembrano farmacie che vogliono vendere solo prodotti finanziari. I rubinetti continueranno a restare asciutti, e questo prolungherà la sofferenza delle aziende, fino a stritolarle.
Finanza pubblica. E’ sempre in continuo deterioramento anche perchè le politiche di austerità, con le quali si vuole risanare il debito, sono un rimedio peggiore del male. Keynes insegnava che quando calavano gli investimenti e i consumi (come in Europa stanno rapidamente calando sia gli uni che gli altri) i governi dovevano aumentare la spesa pubblica in modo da compensare le minori ricadute di denaro sul territorio dovute al calo degli investimenti e dei consumi. Invece le politiche di austerità applicano il principio opposto: in contemporaena con il calo degli investimenti e dei consumi fanno calare anche la spesa pubblica. Il risultato è che non solo non c’è la ripresa economica auspicata ma aumentano le tasse e questo soffoca sempre di più l’economia, col risultato paradossale che i governi pur aumentando le tasse ne incassano meno e devono spendere più soldi per pagare gli ammortizzatori sociali per le valanghe di disoccupati che si vengono a creare. E questo peggiora i conti invece che migliorarli. Chi aumentando le tasse si vanta di tenere i conti in ordine è solo un imbecille. I titoli di Stato poi si vendono a tassi d’interesse pressoché inaccettabili: quasi al 5% il Btp, contro un tasso “sano” dell’1%. «In ogni caso – scrive ancora l’economista Paolo Barnard – se si continua a negare la gravità della distruzione economica e sociale che ci hanno inflitto le politiche di austerità, sarà impossibile uscirne: perché non sapremo adottare i rimedi adeguati». E così tutte le altre devastazioni del cosiddetto rigore dei conti. «Quanto credete che ci vorrà a riparare le voragini lasciate da fallimenti aziendali nell’ordine di 150.000 all’anno?».
Pil. La crescita economica, che è il vero parametro da guardare assieme al tasso di occupazione, rimane ferma, debole e anemica. L’Europa arranca, sperando in micro-crescite dello 0,2-0,4%, con l’Italia del tutto ferma al palo. Ergo i consumi rimangono infimi, nonostante lo sia anche l’inflazione. Campeggiano i manifesti “Tutto sottocosto” di gruppi come Leclerc, grande distribuzione: «Fra un po’ ce la tirano dietro, la roba». In Grecia, addirittura, il governo ha autorizzato i supermercati a mettere in vendita i prodotti scaduti, perché la gente non si può permettere i prezzi di quelli freschi.
In questo contesto liberare almeno i paesi più deboli dalla gabbia dell’euro sarebbe come dare loro almeno una boccata di ossigeno. Ma pur di salvare l’euro in tutti i paesi che l’hanno adottato, Mario Draghi l’omino americano posto ai vertici della BCE attraverso l’inganno, ha stabilito acquisiti illimitati di bond fino a tre anni, vincolati però all’impegno dei governi di fare quelle che lui chiama riforme. Noi le chiameremmo più appropriatamente macellazioni sociali. Il 6 settembre scorso Mario Draghi, in nome e per conto del presidente democratico degli Stati Uniti Barak Obama ha dichiarato: «Faremo tutto il necessario per l’euro che è irreversibile. Timori fondati sulla reversibilità dell’euro sono paure infondate. E ciò rientra pienamente nel nostro mandato». Mandato conferito da chi?
L’art. 50 del trattato di Maastrich prevede l’uscita dall’euro se un paese lo vuole. Ma gli Stati Uniti (e Mario Draghi per loro) non vogliono che alcuno esca.
Siamo in prigione.
Però non è detto che l’idillio Germania-Stati Uniti continuerà. I valori irrinunciabili dell’etica economica tedesca sono la sostenibilità dell’attività produttiva, la stabilità e una finanza che finanzi realemnte le attività economiche. Quando la Germania verificherà che questi valori non sono più sostenibili con l’euro, non potendo mantenere oltre la Grecia anche gli altri paesi latino-mediterranei che vedranno aggravarsi le loro crisi, sarà la stessa Germania ad abbandonare l’ euro. Vagonate di nuovi marchi e 1500 tonnellate di oro aspettano in Svizzera questo momento.
E noi? Che faremo noi a questo punto? Qualcuno ci sta pensando?
Michele Imperio