In Italia quasi un adolescente su due affida le proprie fragilità emotive a un interlocutore che non ha volto, non ha voce e non conosce stanchezza: l’intelligenza artificiale. È uno dei dati più significativi della nuova edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio di Save the Children, documento che quest’anno dedica un’ampia sezione al mondo degli under 19 e ai loro cambiamenti più profondi.
Il quadro che emerge è quello di una generazione che vive in un territorio psicologico scosso da ansia, solitudine e incertezza, e che trova nella tecnologia un rifugio immediato, privo di giudizio e sempre disponibile. Secondo l’organizzazione, il 41,8 per cento dei ragazzi tra i quindici e i diciannove anni ha già utilizzato chatbot e strumenti di intelligenza artificiale per chiedere supporto emotivo nei momenti più delicati. Il ricorso alla tecnologia non si limita al bisogno di conforto: oltre il 42 per cento degli adolescenti ha chiesto consigli su decisioni ritenute importanti, mentre più del 92 per cento utilizza in generale applicazioni basate su IA, un dato che si confronta con meno della metà degli adulti.
Il rapporto racconta anche il perché di questo orientamento. Molti ragazzi spiegano che l’intelligenza artificiale non giudica, non mette in imbarazzo, non impone un tempo o un luogo per parlare. È un ascoltatore permanente, percepito come neutrale e capace di restituire risposte strutturate, spesso più facilmente accessibili rispetto all’aiuto di un adulto, di un insegnante o di un coetaneo. Una caratteristica che, per una fascia giovanile sempre più esposta alla pressione sociale e al timore di mostrarsi vulnerabile, diventa un argomento decisivo.
Ma i numeri restituiscono anche la misura di un disagio più ampio. Il 58,1 per cento degli utilizzatori di IA afferma di aver chiesto ai sistemi digitali consigli su temi seri e rilevanti. Fra questi, il 14,3 per cento lo fa spesso e il 43,8 per cento qualche volta. La ricerca sottolinea come soltanto la metà del campione dichiari un uso moderato e funzionale degli strumenti digitali, mentre cresce la quota di chi preferisce la mediazione di un algoritmo al confronto diretto con una persona in carne e ossa.
L’Atlante, come ogni anno, non si limita a fotografare il rapporto tra giovani e tecnologia, ma evidenzia altre fragilità culturali e comportamentali. Poco meno della metà degli adolescenti non legge libri, un segnale che si inserisce in una frattura più ampia nel rapporto con le forme tradizionali di conoscenza. Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda l’uso di psicofarmaci senza prescrizione: secondo i dati, il 12 per cento degli intervistati ammette di farne uso, un comportamento che si intreccia con la ricerca di soluzioni immediate a stati di ansia e stress.
Il quadro delineato da Save the Children chiama in causa famiglie, scuola, istituzioni, territori e servizi sanitari. L’aumento della domanda di sostegno emotivo, soprattutto quando si rivolge a strumenti automatici, porta alla luce una distanza crescente tra gli adolescenti e le figure adulte di riferimento. Una distanza che, nel silenzio delle camere da letto illuminate dallo schermo del telefono, rischia di trasformarsi in assuefazione alla solitudine.
La fotografia dell’Atlante non è una condanna, ma un invito a ripensare gli spazi di ascolto, ad ampliare le opportunità di orientamento, a costruire contesti in cui gli adolescenti possano trovare risposte senza doversi rifugiare nell’anonimato di una macchina. Perché dietro a quel 41,8 per cento ci sono storie, inquietudini e domande che aspettano ancora interlocutori in grado di accoglierle.
