Il varco che si chiude alle spalle, il clangore metallico che percorre i corridoi, la ritualità della conta, le torri di osservazione, le telecamere e perfino i droni che sorvolano le mura: è in questo universo regolato da discipline antiche e strumenti moderni che Rino Barillari è entrato con il suo obiettivo. Il “re dei paparazzi” – maestro di istanti colti al volo, scene rubate, scatti che hanno fatto la storia della cronaca italiana – ha scelto stavolta un terreno del tutto diverso, raccontando la quotidianità della polizia penitenziaria per il Calendario 2026, presentato a Roma.
Barillari non si è limitato a fotografare. Si è immerso. Ha osservato la vita di chi lavora dietro le sbarre, spesso lontano dai riflettori, nel confine sottile tra ordine e umanità. Ne è nato un calendario che non cerca la posa perfetta, ma la verità: volti stanchi dopo un turno di notte, sguardi vigili durante i controlli, mani che reggono fascicoli, chiavi, documenti, ma anche gesti di attenzione verso chi in quelle celle vive e sconta la pena.
“Vedere questa polizia, che lavora giorno e notte, dare il cuore ai detenuti è una cosa emozionante”, ha raccontato il fotografo durante la presentazione. Una frase semplice, ma densa della scoperta che lo ha colpito più di ogni immagine: il senso di dedizione degli agenti, lontano dagli stereotipi e vicino alle fragilità umane che ogni carcere racchiude.
Tra i pannelli esposti alla conferenza, le fotografie rivelano un mondo fatto di responsabilità, ma anche di relazioni. C’è l’ordine geometrico della conta quotidiana, le pattuglie che percorrono i perimetri, il silenzio teso delle porte che si chiudono, ma ci sono anche attimi sospesi in cui la distanza tra agente e detenuto si assottiglia. Barillari racconta “la realtà più profonda” della Penitenziaria, come lui stesso la definisce, mettendo in luce una professione che vive nella costante ricerca dell’equilibrio tra fermezza e attenzione alla persona.
Il risultato è un calendario che si offre come un racconto per immagini: non un semplice strumento celebrativo, ma un documento che rivendica la complessità e la dignità di un lavoro spesso invisibile. Un viaggio attraverso luoghi poco conosciuti e attraverso chi li custodisce, visto dal punto di vista privilegiato di un fotografo che, questa volta, più che rubare, ha restituito.

