15 Novembre 2025, sabato
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Le patrimoniali già pesano sul Fisco: “La vera urgenza è fermare l’evasione”

Secondo l’Ufficio Studi della Cgia, le imposte sulla ricchezza garantiscono allo Stato oltre 51 miliardi. Crescita del prelievo negli ultimi vent’anni, ma è il buco dell’evasione – 102,5 miliardi – a destabilizzare i conti pubblici.

Le imposte patrimoniali non sono un orizzonte potenziale, né una promessa agitata ciclicamente nel dibattito politico. Sono già una presenza consolidata nel sistema fiscale italiano e, solo nel 2024, hanno assicurato allo Stato un flusso di risorse pari a 51,2 miliardi di euro. Lo ricorda l’Ufficio Studi della Cgia, che in un’analisi aggiornata mette in fila numeri e tendenze: negli ultimi vent’anni, il gettito riconducibile alle tasse sul patrimonio è cresciuto del 74 per cento, a testimonianza di un segmento fiscale che ha assunto un peso via via più rilevante.

La voce più robusta di questo mosaico resta l’Imu, l’imposta municipale sugli immobili, che da sola vale quasi la metà dell’intero prelievo patrimoniale: 23 miliardi di euro nell’ultimo anno, il 45 per cento del totale. Una cifra che conferma come la tassazione sulla casa continui a rappresentare uno snodo cruciale nei bilanci degli enti locali e, più in generale, nella struttura del gettito nazionale.

Accanto all’Imu, anche altri prelievi legati al patrimonio contribuiscono a irrobustire le entrate pubbliche. L’imposta di bollo, applicata a una vasta gamma di atti, documenti e strumenti finanziari, ha garantito 8,9 miliardi di euro. Il bollo auto, nonostante le periodiche discussioni sulla sua eventuale abolizione o riforma, pesa per 7,5 miliardi. L’imposta di registro, infine, genera 6,1 miliardi, confermando il ruolo centrale delle transazioni immobiliari nel sistema tributario.

L’analisi della Cgia incrocia questi dati con le proiezioni contenute nel Documento programmatico di finanza pubblica per il 2025, dove la pressione fiscale complessiva è stimata al 42,8 per cento: tre decimi di punto in più rispetto al 2024 e oltre un punto percentuale sopra il livello del 2022. Un incremento che, secondo la Cgia, non avrebbe avuto effetti diretti e significativi sui bilanci delle famiglie, ma che conferma una tendenza verso una maggiore incidenza complessiva del prelievo.

Il capitolo più pesante, però, riguarda ciò che allo Stato non arriva: l’evasione. Nel 2022 il “buco” fiscale ha raggiunto 102,5 miliardi di euro, una cifra che continua a rappresentare una delle principali criticità strutturali del Paese. Analizzando la propensione all’evasione in rapporto alla ricchezza prodotta, la Cgia individua la Calabria come la Regione più esposta, con un tasso del 20,9 per cento che corrisponde a 3,1 miliardi di mancato gettito. Seguono la Puglia, con il 18,9 per cento (6,8 miliardi), e la Campania, al 18,5 per cento (9,4 miliardi).

Ma se si guarda ai valori assoluti, è la Lombardia a primeggiare, con 16,7 miliardi di euro sottratti al fisco. Un primato legato non tanto alla propensione percentuale, quanto alla dimensione economica del territorio.

Alla luce di questi numeri, la Cgia lancia un appello che suona come una linea guida di politica economica: se si vogliono trovare risorse vere e durature per finanziare settori fondamentali come scuola, sanità e welfare, occorre agire dove la dispersione è più ampia. Servono misure incisive contro l’evasione, soprattutto nelle aree del Paese dove il fenomeno è più diffuso, e un’opera sistematica di razionalizzazione della spesa pubblica. Tagliare sprechi, inefficienze e duplicazioni, suggerisce l’Ufficio Studi, permetterebbe di recuperare risorse ben più consistenti di qualsiasi nuova imposta.

In un contesto in cui il dibattito sulle patrimoniali torna ciclicamente a emergere, le cifre diffuse dalla Cgia riportano la discussione su un terreno concreto: le imposte sulla ricchezza esistono già e producono un gettito significativo. Il vero tallone d’Achille del sistema fiscale italiano, insistono gli analisti, resta la massa ingente di imposte che svaniscono prima ancora di arrivare allo Stato. Una ferita aperta che continua a pesare sulle ambizioni di crescita e modernizzazione del Paese.

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