L’esercito israeliano ha condotto una nuova ondata di attacchi nel Sud del Libano, colpendo depositi d’armi e infrastrutture considerate strategiche delle unità d’élite di Hezbollah. Secondo quanto riferito dalle Forze di difesa israeliane (Idf), i raid avrebbero centrato obiettivi situati nel cuore di aree densamente popolate. Una scelta, sostengono i vertici militari israeliani, non casuale: “Le strutture erano state costruite intenzionalmente al centro di zone abitate, nel tentativo di usare cinicamente i civili libanesi come scudi umani”, ha dichiarato un portavoce dell’esercito.
La versione israeliana parla di operazioni “preventive e mirate” contro postazioni che Hezbollah avrebbe utilizzato per stoccare armi e coordinare le proprie attività nel settore meridionale del Paese. Una regione da mesi al centro di un’escalation a bassa intensità, fatta di scambi di artiglieria, droni e bombardamenti mirati lungo la Linea Blu, la fragile frontiera tracciata dopo la guerra del 2006.
Dall’altra parte, la reazione di Beirut non si è fatta attendere. Il presidente libanese Joseph Aoun ha condannato con parole durissime gli attacchi israeliani, definendoli “un crimine assoluto” e “una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario”. Le sue dichiarazioni, riportate dal quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, accusano Israele di voler sabotare ogni tentativo di dialogo: “Ogni volta che il Libano mostra apertura a un approccio negoziale e pacifico per risolvere le questioni in sospeso, Israele risponde intensificando la sua aggressione contro la nostra sovranità”, ha affermato Aoun.
Il capo dello Stato ha poi ricordato come i raid costituiscano una palese violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, quella che nel 2006 pose fine al conflitto tra Israele e Hezbollah imponendo il ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale e la presenza di caschi blu dell’UNIFIL a presidio della linea di confine. “È passato quasi un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco – ha aggiunto Aoun – e durante questo periodo Israele non ha risparmiato alcuno sforzo per dimostrare il suo rifiuto di qualsiasi soluzione negoziata. Il vostro messaggio è stato ricevuto.”
Le parole del presidente riflettono la crescente frustrazione di Beirut per un conflitto che, pur senza assumere i tratti di una guerra aperta, continua a logorare le regioni meridionali del Paese. La popolazione civile, già stremata da una crisi economica e politica senza precedenti, vive da mesi sotto la minaccia costante dei bombardamenti, in un equilibrio sempre più precario tra guerra latente e tregua fragile.
Sul piano internazionale, la nuova ondata di attacchi rischia di aggravare ulteriormente le tensioni tra Israele e Libano, in un contesto regionale già attraversato da forti turbolenze dopo le recenti escalation in Medio Oriente. L’ONU, attraverso i suoi rappresentanti in Libano, ha più volte sollecitato le parti a rispettare la risoluzione 1701 e a evitare azioni che possano compromettere la stabilità della regione.
Ma i fatti delle ultime ore sembrano confermare che la tregua del 2024 è ormai più un principio che una realtà. Israele rivendica il diritto di difendersi dalle minacce di Hezbollah; Beirut denuncia un’aggressione sistematica e la violazione della propria sovranità. E mentre la diplomazia tenta ancora di contenere le conseguenze politiche e umanitarie del conflitto, nel Sud del Libano la paura torna a essere quotidiana.
