Caracas – Con parole che evocano lo spettro di una crisi geopolitica su scala continentale, il presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha denunciato pubblicamente quella che definisce “la più grande minaccia militare contro il Sud America negli ultimi cento anni”. Secondo quanto dichiarato in una conferenza stampa trasmessa dai media statali, otto navi da guerra statunitensi e un sottomarino armato con 1.200 missili starebbero prendendo di mira il Venezuela, dispiegati nel Mar dei Caraibi come parte di un’escalation militare orchestrata da Washington.
Una denuncia pesante, che arriva in un momento già teso per la politica interna venezuelana e in un quadro regionale segnato da rivalità, sanzioni e una crescente polarizzazione tra i governi latinoamericani.
“Massima pressione” in versione navale
“Gli Stati Uniti hanno fallito con ogni tentativo di guerra ibrida contro di noi”, ha affermato Maduro con tono accusatorio. “Ora puntano alla massima pressione militare, schierando la loro flotta ai nostri confini marittimi”. Secondo il presidente venezuelano, si tratterebbe di una nuova fase dell’offensiva americana contro la sua amministrazione, dopo anni di sanzioni economiche, isolamento diplomatico e sostegno, più o meno esplicito, all’opposizione interna.
Maduro non ha fornito prove a supporto delle sue affermazioni, né sono emerse conferme ufficiali da parte del Pentagono. Tuttavia, l’accusa non è un fulmine a ciel sereno. Gli Stati Uniti, pur senza dichiarazioni pubbliche recenti su un simile dispiegamento, mantengono una presenza costante nel Mar dei Caraibi, dove operano regolarmente con unità navali nell’ambito delle attività anti-narcotraffico e di pattugliamento regionale.
Il ritorno della retorica da Guerra Fredda
La dichiarazione del presidente venezuelano rievoca le dinamiche tipiche della Guerra Fredda, quando la tensione tra potenze si giocava anche sul piano militare, con il dispiegamento simbolico (e talvolta minaccioso) di forze armate nelle zone contese. In questo caso, il Mar dei Caraibi torna ad assumere una valenza strategica, come già accaduto in passato in situazioni di crisi: basti ricordare la crisi dei missili di Cuba nel 1962, evocata da diversi analisti dopo le parole di Maduro.
Il presidente venezuelano non si è limitato a denunciare la presunta minaccia, ma ha anche rilanciato con un messaggio di sfida: “Il Venezuela non cederà davanti a minacce o ricatti. Non ci piegheremo davanti alla Casa Bianca”. Tono fermo, come da tradizione per un leader che fa della retorica anti-statunitense uno degli assi centrali della propria legittimazione politica interna.
Nessuna conferma dagli Stati Uniti, ma la tensione resta alta
Al momento, non ci sono dichiarazioni ufficiali da parte delle autorità statunitensi che confermino il dispiegamento denunciato da Caracas. Tuttavia, fonti diplomatiche vicine alla regione fanno notare come le operazioni navali statunitensi nei Caraibi non siano episodiche. Negli ultimi anni, Washington ha intensificato la propria presenza militare nel quadrante caraibico con l’obiettivo dichiarato di contrastare i flussi di droga provenienti dal Sud America e di monitorare le rotte utilizzate da regimi considerati ostili, come quello venezuelano.
Nel 2020, gli Stati Uniti avevano lanciato un’operazione anti-narcotraffico su larga scala proprio nei Caraibi, con il coinvolgimento della Marina e della Guardia Costiera. Anche in quel caso, il governo venezuelano aveva denunciato una presunta minaccia militare diretta, accusando Washington di preparare un’invasione o di sostenere operazioni segrete per rovesciare il regime bolivariano.
Contesto interno fragile, tra elezioni e pressione internazionale
Le dichiarazioni di Maduro si inseriscono in un contesto interno segnato da forti tensioni politiche e da una crisi economica strutturale che dura ormai da oltre un decennio. Dopo anni di sanzioni e isolamento, il Venezuela si prepara a nuove elezioni, mentre i tentativi di dialogo tra il governo e alcuni settori dell’opposizione sembrano in una fase di stallo.
La denuncia del presidente potrebbe avere anche una funzione interna: compattare le forze chaviste attorno alla leadership, ribadire la narrativa dell’assedio esterno, e delegittimare eventuali movimenti di dissenso o critiche interne presentandoli come parte di un più ampio complotto internazionale.
Ma sullo sfondo resta la questione più ampia del ruolo degli Stati Uniti nel continente sudamericano. Le accuse di Maduro, seppure prive al momento di riscontri indipendenti, sollevano interrogativi sulla stabilità della regione e sul possibile ritorno a una fase di confronto aperto tra Caracas e Washington.
Il rischio di una nuova polarizzazione regionale
Non va infine sottovalutata la dimensione geopolitica dell’annuncio. Se confermato, il dispiegamento militare americano – anche solo come presenza simbolica – potrebbe rinfocolare le divisioni politiche all’interno del continente latinoamericano. Mentre alcuni governi conservatori vedrebbero con favore una postura più assertiva degli Stati Uniti contro regimi autoritari, altri – in particolare quelli appartenenti all’asse progressista latinoamericano – potrebbero interpretare l’eventuale pressione militare come un atto di imperialismo e solidarizzare con il Venezuela.
In questo scenario già teso, le parole di Maduro rischiano di innescare nuove frizioni e riattivare dinamiche di contrapposizione ideologica tra Nord e Sud America. Un equilibrio fragile, che potrebbe complicarsi ulteriormente se la denuncia del leader venezuelano trovasse eco o appoggio da parte di altri attori globali ostili a Washington, come la Russia o l’Iran, già partner strategici di Caracas.
Conclusione: dichiarazioni gravi, ma scenario da chiarire
Le accuse lanciate da Nicolás Maduro aprono un nuovo capitolo nella lunga e tormentata relazione tra il Venezuela e gli Stati Uniti. Ma al di là della retorica e delle dichiarazioni a effetto, resta da capire quanto di reale ci sia nel presunto dispiegamento militare denunciato dal presidente venezuelano. In un’area geopolitica delicata come quella caraibica, basterebbe poco per trasformare un’escalation verbale in una crisi internazionale.
Fino a prova contraria, resta una narrazione unilaterale. Ma in un mondo segnato da instabilità, rivalità strategiche e conflitti ibridi, anche le percezioni – se alimentate al momento giusto – possono diventare benzina sul fuoco.