Un piano di investimenti colossale, da cento miliardi di dollari, potrebbe presto essere annunciato da Apple negli Stati Uniti, con il presidente Donald Trump in prima fila per celebrarne l’impatto economico e simbolico. A rivelarlo è l’agenzia Bloomberg, secondo cui la casa di Cupertino sarebbe pronta a rafforzare in modo significativo la propria presenza industriale e tecnologica nel Paese, nel tentativo di consolidare i rapporti con l’amministrazione americana e, al contempo, evitare nuove misure tariffarie punitive, in particolare quelle che minacciano la catena di produzione dell’iPhone.
L’annuncio ufficiale, secondo le fonti citate da Bloomberg, potrebbe arrivare già nel corso della giornata, in un contesto di crescente tensione commerciale tra Washington e Pechino, che rende sempre più strategica la localizzazione domestica delle attività produttive delle grandi multinazionali tecnologiche. La scelta di Apple, se confermata, rappresenterebbe un segnale di peso in questo scenario: da un lato, per le dimensioni dell’investimento, che si colloca tra i più imponenti mai programmati da un’azienda privata sul territorio americano; dall’altro, per le implicazioni politiche, economiche e simboliche di un’intesa che vedrebbe un protagonista globale dell’innovazione high-tech affiancare l’amministrazione Trump in una narrazione di reindustrializzazione nazionale.
Non è la prima volta che la leadership di Apple si confronta con il tema del rimpatrio produttivo. Già in passato l’azienda aveva annunciato investimenti in strutture statunitensi, dalla costruzione di data center alla creazione di nuovi campus, ma questa volta si tratterebbe di un piano ben più strutturato e, soprattutto, collegato a dinamiche geopolitiche di respiro globale. I dazi minacciati su componenti chiave dell’iPhone, importati dalla Cina e da altri paesi asiatici, rappresentano infatti un rischio rilevante per la competitività e la redditività dell’azienda.
L’eventuale stretta di mano tra Trump e Apple segnerebbe inoltre un momento importante nella strategia economica del tycoon, che ha fatto del “Buy American, Hire American” uno dei suoi mantra politici. Un investimento del genere permetterebbe al presidente di rivendicare un successo concreto nel suo sforzo di riportare in patria posti di lavoro e know-how, proprio in un momento in cui l’agenda industriale americana è al centro del dibattito pre-elettorale.
Resta da capire quali saranno le modalità precise con cui Apple intenderà implementare il piano da cento miliardi: se si tratterà, cioè, di nuove fabbriche, potenziamento delle infrastrutture esistenti, investimenti nella filiera dei semiconduttori, nella logistica o nella ricerca e sviluppo. Altrettanto rilevante sarà osservare l’impatto occupazionale diretto e indiretto dell’operazione e il modo in cui essa si inserirà nella più ampia strategia di delocalizzazione inversa che l’industria tech americana è chiamata oggi a considerare come risposta alle nuove tensioni internazionali.
In ogni caso, l’annuncio – se confermato – rappresenterebbe un’ulteriore dimostrazione della crescente interdipendenza tra grandi imprese tecnologiche e potere politico. In un mondo in cui le scelte industriali sono sempre più influenzate da variabili geopolitiche, la mossa di Apple sarebbe tanto una scelta economica quanto un atto diplomatico.
