25 Novembre 2025, martedì
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Trump, dazi e incassi record: 152 miliardi al Tesoro, ma il conto lo pagano “forse” le famiglie americane

Secondo il New York Times, la politica commerciale dell’ex presidente USA ha fruttato finora 152 miliardi di dollari. Le stime a lungo termine parlano di oltre 2.000 miliardi in dieci anni. Ma il costo reale rischia di ricadere su consumatori e famiglie. Washington temporeggia sulla Fed, Roma insiste sul dialogo con gli Stati Uniti.

Washington –  A pochi mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi, la politica commerciale dell’ex presidente Donald Trump — e verosimilmente futuro candidato repubblicano alla Casa Bianca — torna al centro del dibattito economico e politico internazionale. Secondo un’analisi approfondita del New York Times, basata sui dati ufficiali del Dipartimento del Tesoro, i dazi imposti nel corso della sua amministrazione avrebbero fruttato finora alle casse pubbliche 152 miliardi di dollari, praticamente il doppio rispetto allo stesso periodo del 2024, quando l’incasso si era fermato a 78 miliardi.

Dietro la cifra, apparentemente trionfale, si nasconde però un panorama più articolato e potenzialmente insidioso: il prezzo reale di questi introiti rischia di essere sostenuto in larga parte dai consumatori statunitensi, attraverso un’inflazione indotta sui beni soggetti a tariffe doganali, che già si riflette sui prezzi al consumo e sul potere d’acquisto delle famiglie.

I numeri: un gettito imponente, ma non neutrale

L’amministrazione Trump ha fatto della leva doganale uno strumento cardine della sua politica commerciale, applicando dazi su centinaia di miliardi di dollari di importazioni, in particolare dalla Cina e da altri Paesi ritenuti responsabili di squilibri strutturali nel commercio globale. Il gettito derivante da queste misure ha conosciuto un’accelerazione nel corso del 2025, anche per effetto dell’estensione delle tariffe ad altri settori sensibili, inclusi componenti industriali, elettronica di consumo e agroalimentare.

Secondo le proiezioni elaborate da analisti economici citati dal New York Times, il Tesoro statunitense potrebbe arrivare a incassare oltre 2.000 miliardi di dollari nel prossimo decennio, se il regime tariffario attuale fosse mantenuto o ulteriormente rafforzato. Ma queste entrate, pur significative per i conti pubblici, non rappresentano un afflusso di risorse neutro né indolore: si tratta di un prelievo indiretto che si traduce in un aumento dei costi per imprese e consumatori.

L’effetto sui consumatori: prezzi in salita e redditi erosi

Diverse testate statunitensi, tra cui anche la CNN e il Wall Street Journal, hanno lanciato un’allerta sull’impatto redistributivo delle misure: le famiglie americane stanno già pagando un conto crescente sotto forma di rincari sui prodotti di largo consumo, molti dei quali dipendenti da filiere globali di approvvigionamento.

Secondo stime indipendenti, l’inflazione da dazi potrebbe tradursi in un aumento generalizzato dei prezzi dell’1,8% nel breve termine, una percentuale che, a prima vista, potrebbe sembrare contenuta, ma che equivale a una perdita di reddito reale pari a circa 2.400 dollari l’anno per ciascun nucleo familiare.

Il rischio, dunque, è quello di un paradosso fiscale: mentre il bilancio dello Stato si rafforza, il potere d’acquisto dei cittadini subisce un’erosione progressiva, accentuando tensioni sociali già in atto e alimentando un’inflazione percepita che colpisce soprattutto le fasce di reddito medio e basso.

Powell e la Federal Reserve: una tregua temporanea

Sul fronte della politica monetaria, Trump ha per ora congelato ogni decisione riguardo alla leadership della Federal Reserve. Interrogato sull’eventualità di una sostituzione del presidente in carica Jerome Powell, ha dichiarato che “per il momento Powell resta”, lasciando intendere che un eventuale cambio della guardia — ventilato più volte nel corso del precedente mandato — non è imminente, ma neppure escluso nel caso di una nuova elezione.

La stabilità della guida della banca centrale è un elemento cruciale in un contesto di incertezza sui tassi d’interesse, con la Fed impegnata a bilanciare la crescita economica con il controllo dell’inflazione, di cui proprio le politiche tariffarie possono rappresentare un fattore esogeno non trascurabile.

Dazi USA–UE: il nodo irrisolto e la posizione italiana

Nel frattempo, anche in Europa si guarda con preoccupazione all’approccio statunitense. Le tensioni commerciali tra Washington e Bruxelles rimangono irrisolte, soprattutto in settori chiave come l’acciaio, l’agroalimentare e l’automotive. In questo quadro, il ministro italiano dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha confermato che il confronto tra le due sponde dell’Atlantico è ancora aperto e in corso. “Si tratta ancora”, ha dichiarato, sottolineando la volontà di Roma di evitare una deriva protezionistica che penalizzerebbe in particolare le esportazioni di alta gamma, tra cui spiccano i settori del vino, della moda e della meccanica di precisione.

L’Europa, dal canto suo, è in una fase di ridefinizione strategica della propria politica commerciale, cercando di mantenere un equilibrio tra tutela dei propri interessi industriali e l’impegno per un sistema multilaterale basato sulle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), oggi in evidente crisi.

Considerazioni finali

Il ritorno alla politica dei dazi come strumento di riequilibrio commerciale è una delle cifre distintive del trumpismo economico, che promette introiti e protezione per l’industria nazionale, ma al prezzo di una maggiore pressione sui consumi interni e di un inasprimento delle relazioni internazionali.

Il caso americano conferma quanto la politica commerciale non sia mai una questione puramente tecnica, bensì un terreno di scontro tra esigenze interne e dinamiche globali, tra consenso elettorale e sostenibilità economica. Se, da un lato, il gettito doganale può rafforzare le finanze pubbliche, dall’altro è evidente che il suo impatto redistributivo può accentuare le diseguaglianze e ridurre il benessere reale della popolazione.

In un anno cruciale per gli Stati Uniti e per l’ordine economico globale, il dibattito sui dazi è destinato a rimanere al centro dell’agenda. E le sue ricadute — non solo economiche, ma anche politiche — si faranno sentire ben oltre i confini americani.

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