Un principio di giustizia familiare oltre le sbarre. Con una sentenza di portata significativa, la Corte Costituzionale ha stabilito che è illegittimo vietare al padre detenuto la possibilità della detenzione domiciliare quando la madre sia deceduta o impossibilitata ad occuparsi dei figli, anche nel caso in cui questi ultimi siano già affidati a terzi. Una pronuncia che rappresenta un importante passo avanti nella tutela del diritto dei minori alla cura e alla presenza genitoriale, anche in contesti complessi come quelli legati all’esecuzione penale.
La questione era stata sollevata dai Tribunali di Sorveglianza di Bologna e di Venezia, entrambi alle prese con situazioni che mettevano in luce una lacuna normativa con forti implicazioni costituzionali.
Nel primo caso, un padre detenuto aveva richiesto i domiciliari per prendersi cura dei suoi due figli minorenni, che, in assenza della madre, venivano accuditi dalla sorella maggiore. Nel secondo, un altro detenuto chiedeva lo stesso beneficio per assistere il figlio gravemente disabile, la cui cura ricadeva interamente sulla madre.
Fino a oggi, l’articolo 47-quinquies dell’ordinamento penitenziario, nella sua interpretazione più rigida, consentiva la detenzione domiciliare solo alle madri di figli minori di dieci anni o gravemente disabili, o, in alternativa, ai padri solo se erano vedovi o unici affidatari. La Corte ha però ritenuto che tale automatismo configuri una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della famiglia e dell’infanzia (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione).
“La norma – spiega la Consulta nella sentenza depositata oggi – risulta irragionevole laddove impedisce al giudice di valutare caso per caso l’interesse del minore alla presenza del padre, privilegiando invece soluzioni impersonali e meno favorevoli come l’affidamento a terzi.”
Al contrario, la Corte ha ritenuto legittima la previsione di una tutela rafforzata per le madri, riconoscendo che essa si fonda su un criterio di ragionevolezza e proporzionalità, legato al ruolo generalmente prevalente che le donne ricoprono nell’assistenza ai figli, soprattutto in contesti di fragilità. Si tratta dunque, secondo i giudici costituzionali, di una disparità fondata su ragioni oggettive e non lesiva del principio di uguaglianza.
La pronuncia apre ora nuovi spazi per una giustizia penale più attenta alle dinamiche familiari, sollecitando l’ordinamento a superare le rigidità normative in favore di un approccio più umano e personalizzato. In altre parole, il carcere – pur nella necessaria funzione punitiva e rieducativa – non può diventare un ostacolo alla continuità affettiva e alla responsabilità genitoriale, quando sussistano i presupposti per un’alternativa sicura ed efficace.
Con questa sentenza, la Corte Costituzionale conferma ancora una volta il proprio ruolo cruciale nel bilanciare le esigenze della giustizia con i diritti fondamentali delle persone, ponendo i legami familiari e l’interesse del minore al centro del sistema penitenziario. Una decisione destinata a fare giurisprudenza e a influenzare il futuro delle politiche penali e sociali in Italia.