La Corte d’Assise d’Appello di Torino ha emesso una nuova sentenza nel processo Eternit bis, confermando la condanna per omicidio colposo a carico di Stephan Schmidheiny, imprenditore svizzero e unico imputato nel procedimento. La pena è stata ridotta da 12 anni, stabiliti in primo grado, a 9 anni e 6 mesi di reclusione.
Schmidheiny era accusato della morte di 392 persone tra ex lavoratori e cittadini di Casale Monferrato, città simbolo della tragedia dell’amianto. Tuttavia, la Corte ha dichiarato prescritti 199 casi e ha pronunciato 46 assoluzioni per mancanza di un nesso causale diretto tra il decesso e l’esposizione alle fibre killer.
La Procura generale aveva chiesto la condanna per omicidio con dolo eventuale, ipotesi respinta anche in appello. Come già avvenuto in primo grado, i giudici hanno ritenuto Schmidheiny responsabile solo di omicidio colposo.
Dal canto suo, la difesa – affidata agli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva – ha ribadito l’inadeguatezza del processo penale nell’affrontare un dramma così complesso e stratificato. “Ci vuole rigore,” ha sottolineato Alleva, richiamando l’attenzione sull’importanza dell’oggettività e del nesso causale nelle diagnosi di mesotelioma. “Non si può prescindere da prove scientificamente certe che colleghino la malattia alle attività direttamente riconducibili all’imputato.”
Soddisfatta, invece, l’Associazione dei Familiari delle Vittime dell’Amianto (AFeVA), che si è costituita parte civile nel processo. “La conferma della condanna è il segnale più importante: che sia di 9 o 12 anni, poco cambia,” ha dichiarato Bruno Pesce, cofondatore dell’associazione. “La giustizia ha fatto un passo avanti. Attendiamo le motivazioni della sentenza per comprendere le esclusioni, ma ora speriamo che la condanna regga anche in Cassazione.”
Il verdetto arriva a chiusura di un processo lungo e complesso, simbolo di una battaglia giudiziaria e civile che dura da decenni e che continua a richiamare l’attenzione sull’eredità tragica dell’industria dell’amianto in Italia.