29 Aprile 2024, lunedì
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La bellezza e l’importanza di accompagnare gli ammalati

A cura di Don Carlo Giuliano 

“Inguaribile” e “incurabile”, tutti i malati hanno il diritto di ricevere cure e accompagnamento a livello medico, psicologico, spirituale e umano. Ci sono momenti in cui le persone malate non sono in grado di comunicare o sembrano non riconoscere coloro che li circondano, ma prendendoli per mano, si può comprendere che sono comunque in sintonia. Questo dimostra l’importanza di essere presenti e di offrire un sostegno costante ai malati, indipendentemente dalla possibilità di guarigione. “Aver cura sempre”, anche quando la guarigione non è possibile. Questo concetto si basa sulle cure palliative, che forniscono non solo assistenza medica, ma anche un sostegno umano e vicino al paziente. Abbandonare ogni tipo di discriminazione per abbracciare il principio fondamentale della dignità umana, che implica il diritto di ogni persona, indipendentemente dalla sua situazione di salute, di ricevere un’adeguata cura e accompagnamento in ogni fase della Vita, specialmente durante la fase terminale. L’accompagnamento, una prassi sempre più diffusa e sulla quale anche la pastorale della Chiesa cattolica ha sviluppato le proprie riflessioni. Difatti , invita ad una relazione con il malato che debba essere innanzitutto umanizzante e finalizzata al sollievo fisico ed emotivo, contrariamente alla logica della rassegnazione e all’esaltazione del dolore che permea purtroppo molta spiritualità tradizionale. Afferma la Pastorale della Salute della Diocesi di Nola attraverso il suo direttore Don Carlo Giuliano : l’accompagnamento del malato: non è un lavoro retribuito, né una visita occasionale, né una “buona azione”, ma un impegno che nasce nella libertà e nella gratuità, cresce nella perseveranza e mira a stabilire una “buona relazione”. Per un accompagnamento di qualità, valide per laici e credenti: la chiarificazione dei motivi che spingono a una scelta di questo tipo; il mantenimento di una “distanza salutare” rispetto al malato; il costante impegno per situare la relazione nello spazio dell’autenticità; l’importanza dell’ascolto, e il ruolo delicatissimo che in tale ascolto gioca il linguaggio del corpo; la conoscenza dei propri limiti, contro ogni tentazione o delirio di onnipotenza; la capacità di accettare gli eventuali momenti di stanchezza o di fatica nei confronti del malato; e infine la disponibilità ad acquisire competenze tecniche e a creare rapporti fruttuosi anche con i medici e i familiari del malato. L’accompagnatore cristiano può sempre contare anche sull’azione dello Spirito santo, e sulla presenza costante di Dio. L’accompagnamento del malato” che si è diffusa negli ambienti della pastorale sanitaria e in tutti quegli ambienti interessati a umanizzare la situazione di sofferenza in cui il malato si trova. Non si tratta di una relazione tra funzioni o ruoli (medico-malato), ma tra persone: essa afferma il primato della relazione e la qualità personale del malato. Non è una prestazione che debba venire remunerata con denaro, ma sta nello spazio della gratuità. Non è una visita occasionale, ma si inscrive nella durata ed esige la fedeltà e la perseveranza dell’accompagnatore. Non è lasciata semplicemente alla spontaneità, ma è una scelta: e una scelta sia da parte del malato (che desidera tale accompagnamento o accetta la proposta di essere accompagnato) che dell’accompagnatore (che fa di tale attività un atto di libertà e di responsabilità e che deve anche essere aperto a ricevere dei rifiuti da parte del malato). Non è una scienza, ma un’arte che si impara giorno dopo giorno. Non è tanto una “buona azione”, quanto una “buona relazione”, o almeno la faticosa e quotidiana costruzione di tale relazione buona. Essa è pertanto molto esigente, coinvolgente, e non può essere lasciata semplicemente all’improvvisazione.Nulla può essere predeterminato nel cammino di accompagnamento del malato, ma occorre disponibilità illimitata verso il volere del malato e apertura all’azione dello Spirito santo, prontezza di spirito e creatività! Infine, è importante ricordare che l’accompagnatore non è isolato, non agisce individualisticamente, in proprio nome, ma a nome di un’istituzione, e l’accompagnatore cristiano compie un’azione ecclesiale, opera a nome della comunità cristiana, e pertanto cercherà sempre di comportarsi come “inviato” che agisce a nome della chiesa e di vivere la relazione con il malato come una relazione a tre, in cui il Terzo presente fra lui e il malato è il Signore stesso.

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